Dato e non concesso che la proposta sia animata dalle migliori intenzioni, produrrebbe comunque effetti pratici disastrosi. L’idea è quella di fornire incentivi per favorire il lavoro part-time dei lavoratori dipendenti anziani. In pratica, il lavoratore over 50-55 che secondo l’azienda non è più compatibile con le esigenze produttive né in grado di operare a pieno regime, sarebbe gradualmente accompagnato alla pensione. Lavorerebbe meno ore e gli sarebbe affiancato un giovane da formare, assunto a tempo parziale. C’è da attendersi, come di consueto, lo sbandieramento delle solite ragioni di equità. Però, vien da chiedersi. “Ma non se ne rendono conto?”. Così l’uomo comune e così l’esperto accademico. Stefano Giubboni, professore associato di Diritto del lavoro presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Perugia, raggiunto da ilSussidiario.net, ci spiega perché una modifica del genere non va fatta. «Si ha l’impressione che il ministro sia alla ricerca affannosa di correttivi che riducano l’impatto sociale delle durissime misure previste dalla riforma delle pensioni. Tuttavia, l’ipotesi di accompagnare gradualmente al pensionamento il lavoratore, affiancandogli un soggetto giovane, non è nuova; e non è mai stata applicata». Se in passato non ha funzionato, un motivo ci sarà. «E’ un meccanismo troppo farraginoso, che mal si concilia con le esigenze delle aziende. Tanto per cominciare, infatti, se hanno deciso di disfarsi del lavoratore anziano perché improduttivo o troppo costoso, magari per i diritti legati all’anzianità, si limitano a licenziarlo offrendogli, al massimo, forme di collaborazione esterna». Anche l’affiancamento del giovane all’anziano, di per sé, è questione complicata. «Coniugare  le due figure, di fatto, pone spesso dei problemi; in genere, per fare formazione, è necessaria una terza persona». Oltretutto, un modello del genere funzionerebbe al massimo in aziende molto grandi, mentre il nostro tessuto produttivo è costituito medio-piccole o piccolissime. «Potrebbe essere impiegato in processi di mobilità ed esuberi di significative dimensioni, in presenza di una negoziazione collettiva; ove il sindacato avesse interesse a fare operazioni di questo tipo».



Fin qui, gli svantaggi per le imprese. Poi, ci sarebbero pure quelli per i lavoratori: «L’anziano, nella stragrande maggioranza dei casi, non avrebbe modo di rifiutare e di continuare a svolgere il suo lavoro a tempo pieno. La proposta, gli sarebbe fatta, più o meno, in questi termini: “o accetti il part-time o ti licenzio per motivi oggettivi”». 



Il lavoratore si troverebbe in una sgradevole situazione. Oltre a essere costretto, dalla riforma, ad andare in pensione molto tardi, si troverebbe nella condizioni di dover accettare una riduzione dell’assegno previdenziale. «L’assegno, con il calcolo contributivo introdotto dalla nuova disciplina, viene determinato, infatti, in base ai contributi effettivametne versati, che variano a seconda delle ore lavorate; si verifica, cioè, un riflesso immediato e diretto sul montante retributivo. In sostanza, il lavoro part time potrebbe diminuire l’assegno in misura proporzionale al minor tempo trascorso al lavoro».



 

(Paolo Nessi)