Per il momento, sulla questione esodati il ministro resta arroccato sulle proprie posizioni: 65mila persone che rischiavano di restare senza lavoro e senza pensione sono stati salvaguardati. E tanto basti. Gli altri si arrangino. Questo, in sostanza, il concetto che emerge dalla piega che stanno assumendo gli eventi. Entro il fine settimana, o entro maggio, sarà emanato il decreto attuativo che consentirà alla platea individuata dal decreto Salva Italia (i suddetti 65mila, divisi tra esodati, mobilitati e afferenti a fondi di solidarietà) di andare in pensione secondo le regole precedenti alla riforma. Peccato che, da qui ai prossimi 4 anni, si troveranno in una situazione analoga, ma senza copertura, 130mila persone (300mila, secondo le stime più pessimistiche). I sindacati, dall’incontro con la Fornero, hanno ricevuto una pallida rassicurazione. La risposta, in pratica, è stata: «Vedremo». Ora, sperano nell’incontro con i gruppi parlamentari per trovare una soluzione.
In tal senso, Silvano Moffa, presidente della commissione Lavoro della Camera, spiega a ilSussidiario.net: «Abbiamo accolto le richieste del mondo sindacale, e apriremo un tavolo tra il Parlamento e i loro rappresentanti per esaminare nel dettaglio la questione. Siamo convinti anche noi che 65mila non sia un numero sufficiente per esaurire la platea di chi è senza stipendio e senza pensione». Secondo Moffa, in ogni caso, la Fornero non ha ancora chiuso la partita. «Per ora, non ha escluso di individuare un ampliamento». Sta di fatto che anche Moffa sa bene che, a oggi, i conti non tornano: «Com’è emerso nel corso delle audizioni generali dell’Inps, i lavoratori interessati sono decisamente più di quelli derogati dal decreto. Ed è impensabile che non ci siano le condizioni per arrivare a una quantificazione esatta ed esaustiva».
Compiuto questo passaggio, si dovrà capire dove reperire le risorse necessarie a derogarli tutti. «La riforma, che è estremamente rigorosa (troppo, in realtà: poteva essere tranquillamente impostata con maggiore gradualità), determinerà un risparmio, nei prossimi 10 anni, pari a circa 140 miliardi di euro. E’ sufficiente, quindi, prevedere un minor risparmio, di entità ridottissima, per sopperire a questa iniquità. Del resto, Monti aveva annunciato rigore ed equità e, del secondo elemento, finora, non si è vista traccia. Questa potrebbe essere l’occasione giusta». L’Europa, dal canto suo, non dovrebbe porre problemi: «Agli occhi delle istituzioni comunitarie, non credo che una ridefinizione marginale, necessaria per sanare una sostanziale ingiustizia sociale, possa essere interpretata come un segnale negativo». D’altronde, che si tratti di un’iniquità, è evidente a chiunque: «Parliamo di persone che avevano stabilito di lasciare il mondo del lavoro sulla base di aspettative e accordi contrattuali ben precisi e che, a un certo punto, improvvisamente, per effetto della riforma, si sono visti saltare in aria i propri piani».
Nel 2013, in ogni caso, ci saranno le elezioni. È prevedibile che qualunque governo dovesse insediarsi risolverebbe la questione con molte meno resistenze rispetto all’attuale esecutivo tecnico. «Questo è vero. Un governo politico, sulla vicenda, avrebbe una maggiore sensibilità. Tant’è vero che in Parlamento e in Commissione ho registrato, da parte di tutte le forze politiche, la condivisione del problema. E’ prevedibile, quindi, che chi governerà nel 2013, se sarà coerente con quanto va dicendo in questi giorni, non potrà non affrontare la questione. E’ auspicabile, tuttavia, che la si possa risolvere già adesso. Abbiamo situazioni che rischiano di minare la capacità di tenuta di svariate famiglie».
(Paolo Nessi)