Il caso degli esodati dimostra che quando un governo agisce, inevitabilmente scontenta sempre qualcuno. Lo si mette in conto. Come si mette in conto di cercare di correre ai ripari, smussando gli angoli di quei provvedimenti che penalizzano o privilegiano in maniera assurda una categoria piuttosto che un’altra, fino a giungere al giusto bilanciamento. Quando si può. Ovvero, copertura di bilancio, situazione politica, veti di lobby e partiti o reazione degli elettori permettendo. E se non si può, pazienza. A meno che una questione non possa essere lasciata senza soluzione, pena il dissesto della coesione sociale. «E, finora, la risposta individuata dal ministro Fornero sugli esodati è del tutto insufficiente rispetto alla gravità del problema», spiega, a ilSussidiario.net l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano. Esodati è un termine non del tutto preciso, che si riferisce, oltre a coloro che hanno sottoscritto veri e propri accordi di esodo, ai mobilitati, a chi afferisce a fondi di solidarietà, o a chi ha optato per la contribuzione volontaria; categorie unite dalla caratteristica di essersi ritrovate senza pensione e senza lavoro per effetto dell’innalzamento dell’età pensionabile stabilito dalla riforma. Prima che cambiasse la legge, in sintesi, avevano abbandonato, su base volontaria, il lavoro nella prospettiva di accedere al trattamento previdenziale nell’arco di pochi anni, nei quali avrebbero vissuto dignitosamente grazie all’indennizzo corrisposto da aziende che non si sarebbero potute permettere di tenerli ancora a lungo. Ma le condizioni sono cambiate a partita chiusa e, esaurito l’indennizzo, si ritroveranno per anni (anche 5 o 6) senza avere di che vivere.
La Fornero ha emanato un decreto che consente a 65mila di loro di andare in pensione con le vecchie regole. Per gli altri, e si calcola che siano fino a 300mila, nulla. Damiano illustra la proposta depositata alla Camera dal Partito democratico per tutelare anche questi ultimi. «Sulla proposta – spiega, anzitutto -, di cui sono il primo firmatario, si è aperta la discussione in commissione Lavoro. Firmata da tutto il gruppo del Pd, dal presidente della commissione Lavoro, Silvano Moffa, dagli onorevoli Giuliano Cazzola (Pdl) e Nedo Poli (Udc), il relatore è l’onorevole Luigi Muro (Fli)». Vediamo in cosa consiste: «Trae spunto dagli ordini del giorno successivi al Milleproroghe e prevede che la data di decorrenza dagli accordi di mobilità sia spostata dal 4 dicembre 2011 al 31 dicembre 2011 e che si dia un’interpretazione estensiva al principio secondo il quale coloro che matureranno i requisiti per la pensione nel periodo che va dal 6 dicembre 2011 al 6 dicembre 2013 potranno andare in pensione con il vecchio sistema».
In sostanza: «È necessario includere nelle vecchie regole pensionistiche ancora coloro che, in tale periodo matureranno il diritto alla pensione e non, come afferma l’attuale legge, il diritto a ottenere effettivamente l’assegno previdenziale. Siamo disposti, partendo da quel nucleo di ragionamento, ad includere altre persone». Ovviamente, come sempre, il problema è quello di recuperare le risorse necessarie per tutelare anche quelli che sono rimasti senza copertura. «A regime – replica Damiano -, dal 2020, si risparmieranno 22 miliardi all’anno. Una restituzione modestissima potrebbe tranquillamente risolvere il problema».
(Paolo Nessi)