Sembra proprio che sia arrivata l’ora. Quella che in molti definiscono “casta” o “settore privilegiato” sta per essere colpito dalla scure della cassa integrazione. Secondo Milano Finanza, il governo Monti avrebbe deciso di optare per l’utilizzo della Cig anche nella Pubblica amministrazione: una decisione, se confermata, coraggiosa dal momento che mai nessun esecutivo aveva osato tanto. Una scelta simile era stata auspicata al governo presieduto da Berlusconi, il 5 agosto scorso, dalla Bce: Draghi e Trichet avevano insistito perchè Palazzo Chigi mettesse mano alla categoria, diminuendo i costi e, se necessario, anche riducendo gli stipendi. Forse, il momento è arrivato poiché secondo le indiscrezioni riportate da MF, il Ministro della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi e il vice ministro al dicastero dell’Economia, Vittorio Grilli, hanno riaperto un dossier che vede fra i punti cardine la possibilità della cassa integrazione nella Pa. Abbiamo sentito per Il Sussidiario.net, Luca Solari, Docente di organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano.
Professore, sembra che la crisi economica costringa a metter mano a un settore quantomeno “ostico”.
Non faccio parte al gruppo delle persone pregiudizialmente contrarie alla cassa integrazione nella Pa poiché non trovo del tutto errata un’equiparazione fra dipendente pubblico e privato. Anche se vorrei far notare che si sta parlando di organizzazioni che presentano governance, natura, modalità di funzionamento e di organizzazione interna profondamente diverse. Queste differenze, anche in altri paesi, portano a ritenere che il modello di rapporto di lavoro non possa essere basato sullo stesso modello di relazione privatistica che ha senso quando una proprietà che ha modelli ben definiti e misurabili e che rispetto a questi, impiega lavoro.
Quindi, la scarsa omogeneità può costituire un problema?
Un conto è la sanità e quella parte di Pubblica amministrazione che si occupa di servizi, per certi aspetti equiparabili a quelli che si potrebbero trovare sul mercato e, dall’altra parte, c’è quella parte che si occupa di atti regolativi e amministrativi. Sulla prima filiera, un’estensione dei meccanismi privatistici, a mio avviso, ha senso e in parte già alcune modalità sono state attivate nell’ambito della sanità pubblica. Sulla seconda continuo a pensare che questo è più difficile anche se ciò non significa che è impossibile la conclusione del rapporto di lavoro. Anzi, già oggi nel meccanismo del contratto pubblico è possibile. L’intoccabilità dei contratti pubblici è una pura costruzione mitologica, molto diffusa nel nostro Paese.
Quindi perchè non viene attuato questo meccanismo?
L’impasse è che non si trova mai qualcuno che a livello dirigenziale, abbia il coraggio di portarlo a termine. Esistono anche molte persone dei sindacati che ricoprono ruoli importanti nella Pubblica amministrazione oppure ci sono le buone vecchie ragioni che affondano nelle opportunità politiche. Quindi, licenziare nella Pa è possibile: basta volerlo. Modificare le modalità della conclusione del regime del rapporto di lavoro, senza cambiare il modo in cui sono gestite le pubbliche amministrazioni, potrebbe non produrre alcun effetto reale.
Quali altre forme potrebbero, invece, produrre effetti?
Uno dei problemi della Pa è la non ottimale, se non cattiva, allocazione del personale: vi sono alcuni uffici in cui c’è un esubero di personale a fronte di altri in difficoltà a causa della scarsità degli impiegati.
Lei pensa che queste differenze siano evidenti anche fra Nord e Sud?
Non particolarmente. Si tratta di regioni più o meno virtuose al Nord come al meridione: ad esempio, alcune regioni presentano una spesa pubblica molto forte e non sono tutte al Sud, ma si tratta di regioni a statuto speciale collocate al settentrione. Il punto è solo il personale in esubero che andrebbe ri-allocato, anche in maniera forzata, in altre realtà. Del resto, il fatto che le persone vengano assunte in alcune realtà e poi si spostino per motivi personali, di avvicinamento o altre opportunità di trasferimento, non è più gestibile.
La ri-allocazione del personale, forse, non è la soluzione per questo governo che vorrebbe tentare un risparmio?
La cassa integrazione nel settore privato è pagata, sostanzialmente, dal lavoratore e dalle aziende che mettono le risorse volte alla copertura. Se fosse così anche per la Pa, ci ritroveremmo con dipendenti che, sebbene abbiano una riduzione retributiva, non operano più: quindi, senza un vantaggio significativo per la finanza pubblica. Forse, la soluzione migliore sarebbe quella di istituire un fondo alimentato dai dipendenti della Pa per questo tipo di misure. Però, parliamo sempre di denaro pubblico che, semplicemente, viene spostato per ragioni di copertura. A quel punto, trovo più sensata una riduzione del personale, per quanto complicata.
Anche questo un punto piuttosto difficile.
Si potrebbe iniziare modificando alcuni meccanismi folli come, ad esempio, la deresponsabilizzazione del management nei processi decisionali: le progressioni di carriera basate sui mega concorsi che sono spesso più una soluzione cosmetica che reale. Questo innescherebbe anche progetti di valutazione e merito, sicuramente utili per l’intero settore.
(Federica Ghizzardi)