Si tiene oggi a Roma una grande manifestazione unitaria dei tre sindacati confederali all’insegna del motto: “Il valore del lavoro”. Quest’iniziativa, originariamente prevista per il 2 giugno, è stata infatti rinviata per rispetto dei morti del terremoto dell’Emilia. Una scelta, quella dello slogan, non banale e certamente provocatoria. Mai, infatti, i sindacati avevano organizzato una manifestazione di questo tipo il giorno del “compleanno” della nostra repubblica. Una repubblica la nostra, ce lo ricordano se mai fosse necessario i promotori nel manifesto, che all’articolo 1 recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.



Poco dopo, all’articolo 4, i nostri costituenti scrivono forse uno dei passaggi più belli, impegnativi e intensi della nostra Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” L’Assemblea costituente opera quindi una vera e propria scelta di campo. La legittimazione del potere muta profondamente. Si supera, in un sol colpo, la vecchia concezione della sovranità “per grazia di Dio” dello Statuto Albertino e la concezione corporativa e autoritaria della società che aveva caratterizzato il ventennio fascista. Il lavoro diventa l’elemento cardine del sistema e il cuore del diritto di cittadinanza. Il lavoro rappresenta così il momento fondamentale di promozione dell’uomo anche nella dimensione sociale e comunitaria, facendo sì che ogni cittadino contribuisca, con la propria opera, al progresso del Paese.



Una prospettiva, quindi, certamente ancora molto attuale che dimostra la lungimiranza e la visione di quella classe dirigente che fu chiamata, con libere elezioni dopo vent’anni di dittatura, a portare un’Italia profondamente divisa fuori dalle secche di una guerra persa e che aveva portato solo morte e distruzione.

La manifestazione dei sindacati di oggi può diventare, quindi, un’occasione per stimolare un momento di riflessione teso a comprendere come quei valori di fondo che informano la nostra Carta Costituzionale possano ancora vivere e portare frutti nella nostra società. Non è infatti un’opera meramente speculativa riflettere su come possa manifestarsi ancora oggi, in un mondo globalizzato e in continua trasformazione, quell’azione fondamentale di promozione del lavoro a partire dalla ridefinizione di nuove regole più moderne e adeguate agli attuali modi di fare impresa.



È cambiato, infatti, prima di tutto il valore da difendere: il lavoro. Sarebbe oggi probabilmente più opportuno parlare di lavori. Allo stesso tempo è cambiato il tessuto produttivo del Paese. Regioni come quelle del nord-est, una volta terre d’emigrazione, sono state, e per molti aspetti continuano a esserlo grazie alla fitta rete di piccole e medie imprese che caratterizza questi territori, il motore del Paese. La Fiat degli Agnelli, simbolo di un modo paradigmatico nel mondo dell’impresa made in Italy non esiste più. La Fiat immaginata da Marchionne rappresenta, infatti, allo stesso tempo il tentativo di costruire una moderna multinazionale sempre meno italiana, ma anche un elemento di profonda riforma, dall’interno, per le relazioni industriali di questo Paese.

Sono, inoltre, cambiate le dinamiche demografiche. Il Paese invecchia e molti dei giovani che vivono in Italia sono figli di altre terre venuti qui con le loro famiglie per provare a costruirsi un futuro migliore e che stanno contribuendo con il loro lavoro alla sostenibilità economica di alcuni diritti sociali fondamentali del nostro modello di welfare, a partire da quelli previdenziali e pensionistici.

I valori, infatti, non si difendono, come troppo spesso si pensa in questo strano Paese, con la sterile difesa dello status quo, ma con il coraggio di saper gettare il cuore oltre l’ostacolo e con occhi che sappiano tornare a guardare con speranza e fiducia nel futuro. La crisi economica si supera, quindi, solo se il Paese torna a crescere con il lavoro e il contributo di tutti.

Lo sviluppo diventa la nostra unica garanzia possibile per far sì che si possano continuare a concretizzare, in diritti sociali veri ed esigibili, quegli ideali alti di equità e solidarietà che insieme al lavoro rappresentano i cardini della nostra Costituzione.

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