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Lo abbiamo ripetuto più volte, ma è sempre bene ricordarlo: la Riforma è rimasta a metà del guado. Per esprimere un giudizio complessivo dovremo attendere il testo finale, ma già da ora alcune osservazioni sorgono spontanee. La più importante di queste riguarda il metodo: la tendenza alla concertazione da una parte, e la giustificata fretta del Governo dall’altra, sembrano aver sortito un effetto negativo, tanto da lasciare insoluti la maggior parte dei problemi presenti sul tavolo. Il tempo per intervenire, oggi, potrebbe non esserci più.



Del resto è anche vero che per il Legislatore è indubbiamente più semplice ed efficace modificare norme sulla base di esperienze positive già testate, che procedere a una riforma basata su teorie generali; le stesse teorie che possono sconfinare nell’ideologia e che spesso si scontrano con gli interessi precostituiti delle diverse Parti Sociali coinvolte. Proprio per questo riteniamo che l’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, possa rappresentare, anche a valle dell’approvazione della Riforma, un’interessantissima occasione per tentare una sperimentazione a diversi livelli, sia settoriali che territoriali.



A partire da un’esigenza di “ammodernamento” delle relazioni industriali, l’articolo 8 ha infatti voluto avvalersi dei principi di prossimità e di sussidiarietà. Questo comporta, tra le altre cose, che i soggetti attivi nei processi delle relazioni industriali siano proprio le Parti Sociali e non lo Stato, chiamato a intervenire solo laddove l’intesa non venga raggiunta. Sono infatti i soggetti titolari del rapporto di lavoro a conoscere e a saper leggere al meglio le diverse situazioni, non la “teoria astratta” e generalista del Legislatore. In quest’ottica sono proprio le relazioni industriali libere e responsabili lo strumento più idoneo a concludere a livello aziendale scambi negoziali virtuosi, capaci di rendere l’impresa competitiva tutelando, nel contempo, il lavoro concepito come crescita delle opportunità. Il tutto però con un importante “nota bene”: che si eviti di utilizzare la contrattazione territoriale come scorciatoia per creare situazioni che minino la certezza della legge e con essa la trasparenza del mercato.



Detto ciò, gli ambiti nei quali si potrebbe sperimentare questo modello di prossimità e sussidiarietà sono numerosi. La sua applicazione, indipendentemente dai contenuti finali della Riforma, potrebbe contribuire a una migliore revisione del funzionamento del mercato del lavoro. Vediamone alcuni.

Flessibilità in entrata. L’articolo 8 può regolare le materie relative “ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro”. È quindi possibile utilizzare queste forme contrattuali per migliorare la flessibilità in entrata. Come? Un esempio su tutti è costituito dalla possibilità di intervenire sui nuovi limiti imposti dalla riforma ai contratti a termine, attraverso un accordo che permetta di prevedere tra i due contratti tempi di intervallo più stretti, o che consenta di superare la causale in cambio di maggiore occupazione e, quindi, di più assunzioni.

Somministrazione. Il cosiddetto “accordo territoriale” o “aziendale” potrebbe consentire, avvalendosi anche della collaborazione e del supporto fornito dalle agenzie, il superamento delle causali previste per i contratti di somministrazione, a fronte della possibilità di una maggiore occupazione e consolidamento della forza lavoro.

Conciliazione vita lavoro. Utilizzando la contrattazione territorialeè possibile adottare soluzioni sperimentali per promuovere e sostenere la conciliazione vita-lavoro attraverso politiche adeguate (telelavoro, flessibilità dell’orario lavorativo, permessi e congedi, ecc.), favorendo in tal modo una crescita dell’occupazione e permettendo a tutti, anche alle giovani donne, di dare il loro contributo professionale.

Apprendistato. Con l’articolo 8 si possono superare i limiti numerici di assunzione e modificare le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, prevedendo, per esempio, un lungo periodo di prova. Persino le retribuzioni potrebbero essere riviste, tenendo in debito conto la Costituzione e le convenzioni internazionali.

Da questi pochi esempi appare con evidenza come possa essere interessante e utile provare a utilizzare l’articolo 8 per individuare e sviluppare nuove soluzioni che, in tal modo, in futuro potranno essere prese in considerazione dallo stesso Legislatore, dopo averne verificato l’effettiva efficacia. Naturalmente, cosa ancor più importante, tale metodo di affronto delle problematiche richiederebbe alle Parti in gioco una maggiore e più consapevole assunzione di responsabilità.

Fermo restando che lo spazio d’azione consentito dall’articolo 8 non deve in nessun caso pregiudicare la certezza del sistema, ci sembra tuttavia che questa disposizione possa costituire una cartina di tornasole per misurare se e quanto ci sia ancora nel nostro Paese qualche soggetto che desidera e che sia capace di dire qualcosa di nuovo per il bene di tutti. Qualcuno che – novità pressoché assoluta nel panorama italiano – sia disposto a prestarsi alla verifica dei fatti, prima che al successo politico o mediatico. Attendiamo fiduciosi una risposta.

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