Più ricche o più povere? Nei prossimi anni – secondo alcuni – le pensioni degli italiani, a causa degli inasprimenti dei criteri necessari per poter accedere al regime previdenziale introdotti dalla riforma Fornero, potrebbero essere più sostanziose. In pratica, lavorando più anni si mette da parte di più. Contestualmente, altri fanno presente che sono tante e tali le incognite che l’ipotesi di un assegno cospicuo è tra le meno probabili. Luca Spataro, professore associato di Economia Politica presso il Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Pisa, spiega a ilSussidiario.net come stanno effettivamente le cose. «A seguito della riforma, le pensioni saranno direttamente proporzionali a quanto si è versato nel corso della propria carriera lavorativa e inversamente proporzionali alla durata media della vita». In particolare, «l’importo dell’assegno previdenziale si ottiene moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione». Due elementi che variano nel tempo. «Il montante contributivo, che corrisponde alla somma dei contributi versati, viene rivalutato di anno in anno a un tasso di capitalizzazione che è pari alla variazione media quinquennale del Pil. Va da sé che, se la recessione dovesse persistere, o se i tassi di crescita della nostra economia, nei prossimi anni, si rivelassero esigui, non potremo, di certo, aspettarci rivalutazioni congrue».
Un discorso analogo vale per i coefficienti di trasformazione. «Sono correlati all’età anagrafica e vengono rideterminati ogni tre anni sulla base delle rilevazioni demografiche». Prevedendo che, nel tempo, l’aspettativa media di vita sia destinata ad aumentare, i coefficienti sono destinati a ridursi. Affinché l’assegno previdenziale sia dignitoso, quindi, è necessario che si verifichino una serie di condizioni: «Non occorre soltanto che l’economia, nel suo complesso, vada bene; è necessario che la vita lavorativa dell’individuo sia continua e non presenti troppi “buchi”». E’ realistico pensare che purtroppo, in svariati casi, non sarà così. «Anzitutto, la stagnazione dell’economia italiana, che dura da diversi anni, non ci fa essere ottimisti. C’è da credere, inoltre, che la vita lavorativa delle giovani generazioni non sarà priva di intoppi. Sono prevedibili un numero di carriere discontinue sempre maggiori. Dove si passerà, per intenderci, da rapporti a tempo determinato, a collaborazioni in regime di partita Iva, da contratti a progetto a periodi di disoccupazione». È necessario correre ai ripari sin da subito. «Bisognerebbe capire, anzitutto, come saranno trattate le ricongiunzioni. In questo scenario, inoltre, la previdenza complementare assume una rilevanza sempre più strategica. A oggi, purtroppo, non è ancora decollata. Nonostante ci si aspettasse, tra i dipendenti del settore privato, tassi di adesione compresi tra il 30% e il 40%. Finora, non hanno superato il 30%». Eppure, ci sarebbero diverse possibilità per incentivare i fondi pensione. «Sarebbe possibile – ad esempio – ridurre la tassazione sui tassi d’interesse. Il che, non sarebbe necessariamente costoso per lo Stato. Ridurre le aliquote, infatti, potrebbe aumentare il gettito derivante dalle maggiori adesioni. I rendimenti provenienti dal mercato, normalmente, infatti, sono più elevati di quelli del Tfr».
Walter Passerini, su queste pagine, affermava che uno strumento fondamentale per rendere consapevoli i cittadini del fatto che dovranno «costruirsi la propria pensione prestando molta attenzione, nel corso della propria vita lavorativa, al conteggio dei contribuiti versati con il metodo contributivo» è la cosiddetta busta arancione che, secondo gli annunci, tra gli altri, dell’ex ministro Sacconi e del presidente dell’Inps Mastrapasqua, avrebbe dovuto essere inviata agli italiani ogni anno e «contenere l’estratto conto dei contributi versati e la simulazione dell’ammontare dell’assegno previdenziale al raggiungimento dei requisiti, rebus sic stantibus». Secondo Spataro «la busta arancione sarebbe un ottimo strumento. Ma va anche detto che l’Italia ha molto da fare sull’educazione finanziaria dei suoi cittadini. Un compito nel quale ci sarebbe spazio per le iniziative delle associazioni e dei corpi intermedi dello Stato nel favorire una presa di coscienza dei fondamenti dell’economia finanziaria e del risparmio».
(Paolo Nessi)