Il Tribunale di Roma  ha condannato  Fiat  per aver discriminato la Fiom nelle assunzioni presso lo stabilimento di Pomigliano. E l’ha obbligata ad assumere 145 lavoratori iscritti al sindacato. 19 di loro, inoltre, che avevano presentato ricorso individualmente, dovranno essere risarciti anche con 3mila euro a testa. La vertenza era nata in seguito al fatto che, tra i 2.100 nuovi assunti, nessuno aveva la tessera dei metalmeccanici della Cgil. Marchionne non l’ha presa bene. E, da Changsha, dove giovedì è stata inaugurato il primo stabilimento cinese del Lingotto, l’ha definita «un evento unico che interessa un particolare Paese con regole particolari che sono folkloristicamente locali». Ilsussidiario.net ha chiesto un commento a Gianni Gambarotta, giornalista economico.



Come giudica, anzitutto, la reazione di Marchionne?

Definire una sentenza folkloristica lo trovo inopportuno. Una sentenza della magistratura, al limite, si può condividere o meno.

E’ vero, tuttavia, che si tratta di un caso più unico che raro?
Effettivamente, sì.

Quali effetti produrrà?

Marchionne è convinto del fatto che le condizioni siano penalizzanti al punto tale dal rendere impossibile all’industria la permanenza in Italia e questa sentenza confermerà la sua convinzione. Ovviamente, non smantellerà gli impianti da un giorno all’altro per puro puntiglio. Del resto, non è di certo un avventuriero e le affermazioni che si fanno a caldo hanno spesso una finalità dialettica e strumentale. Quando si troverà al prossimo tavolo sindacale, tuttavia, farà presente che il Paese si è mostrato per l’ennesima volta ostile alla propria industria. E i futuri investimenti prenderanno altre direzioni certamente altri direzioni. Soprattutto, verso l’America.



Quali sono gli elementi che, secondo Marchionne, penalizzano maggiormente la Fiat?

Vede, in Europa,  seppur a livelli diversi, si continua tranquillamente a produrre. Non si capisce, ad esempio, perché gli stabilimenti Fiat, in Polonia, producano quasi il doppio di quanto prodotto in Italia. Da noi ci sono tante e tali rigidità che rendono la pratica estremamente complicata. Mi riferisco, ad esempio, ai vincoli sui rapporti di lavoro che in altri Paesi non esistono. La riforma dell’articolo 18, ad esempio, ha dato svariate concessioni alla Fiom e alla Cgil senza sbloccare la situazione.

Come potrebbero migliorare le condizioni?



Consentendo una gestione flessibile nelle relazioni industriali e personali, a seconda di come vadano le cose e impedendo che i luoghi di lavoro diventino terreno di scontro. Benché i casi di assenteismo o di scorrettezza dei dipendenti non si contino, è pressoché impossibile licenziare. Dal dibattito sulla riforma del mercato del Lavoro è inoltre mancato del tutto l’ipotesi di modificare la flessibilità nel corso del rapporto di lavoro.

Cosa intende?

Non dimentichiamo che l’accordo di Pomigliamo, quanto meno, si è rivelato un successo per aver impedito la chiusura dello stabilimento. In quel caso è stata modificata la flessibilità relativa agli orari e ai turni di lavoro

Crede che la Fiat si trovi in difficoltà unicamente per ragioni legate a questi vincoli?

La crisi versa in una crisi profonda perché non ha modelli nuovi. È carente sul fronte del prodotto. Recentemente, nessuna delle automobili uscite dalla macchine di montaggio Fiat ha avuto successo a livello internazionale.

Com’è possibile?

Quando Marchionne è arrivato alla guida della Fiat ha trovato una situazione pressoché fallimentare ed è riuscito, finanziariamente, a risollevarla. Tuttavia, ha sottratto risorse per gli investimenti.

Perché il sindacato non ha contemplato gli effetti che si sarebbero determinati?

Non credo che il sindacato si sarebbe potuto comportare in maniera diversa. Ciò che lascia più perplessi, più che altro, è il disinteressamento di questo governo e di quello precedente alla sua prima industria.

Ci saranno ripercussioni al di fuori del perimetro Fiat?

Gli investitori stranieri saranno ulteriormente scoraggiati dall’approdare in Italia mentre gli imprenditori italiani si sentiranno ancora più invogliati a traslocare altrove. 

 

 

(Paolo Nessi)