Nel corso di un’intervista al Wall Street Journal, il ministro Elsa Fornero ha dichiarato: “La mentalità delle persone deve cambiare. Il lavoro non è un diritto; deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio”. Il giornalista americano ha reso l’espressione con “work”, che a differenza di “job” significa il lavoro in quanto tale, e non il posto di lavoro. La dichiarazione del ministro ha sollevato un vespaio di polemiche, e l’Unità è giunta ad accusare la Fornero di andare contro la Dottrina sociale della Chiesa. Per quanto sia un paradosso che a farlo sia stato proprio il quotidiano di sinistra, in un editoriale ha spiegato che “il lavoro era inteso come la condizione antropologica per eccellenza, come un tratto specificamente umano, e in questo erano in sintonia sia la tradizione cattolica (basterà ricordare l’Enciclica Laborem Exercens) che la cultura del movimento operaio”. Per dirimere la questione, abbiamo chiesto un parere al professor Gaetano Troina, che proprio alla Laborem Exercens ha dedicato alcuni dei suoi studi più importanti.

Secondo lei, l’affermazione della Fornero è in contrapposizione con la Dottrina della Chiesa?

L’espressione che ha usato il ministro è certamente in contrapposizione con la base costituzionale. Probabilmente il ministro non intendeva affermare quello che è stato trascritto dal giornalista, ma intendeva dire piuttosto che il posto di lavoro, e non il lavoro, va mantenuto anche a costo di sacrifici. Che cosa afferma la Laborem Exercens? Giovanni Paolo II, pienamente in linea con la tradizione delle altre encicliche sociali della Chiesa, vede nel lavoro un diritto naturale dell’uomo. La persona senza il lavoro perde una sua caratteristica essenziale. Il lavoro ha il compito di produrre la ricchezza, che si accumula per produrre nuovo lavoro. Il Papa è categorico su questo punto, e dalla Rerum Novarum in poi è sempre stata mantenuta questa posizione del primato del lavoro.

Un primato rispetto a quali altri valori?

Rispetto al capitale, alla proprietà e alla produttività. Giovanni Paolo II parla di un “banco comune del lavoro, dove tutti gli uomini si devono ritrovare”, e pone il lavoro in una posizione di essenzialità per l’uomo e per la socialità. Il Papa afferma che “continua a rimanere inaccettabile la posizione del ‘rigido’ capitalismo, il quale difende l’esclusivo diritto della proprietà privata dei mezzi di produzione come un ‘dogma’ intoccabile nella vita economica”.

Quindi?

Se l’espressione del ministro Fornero è stata riportata correttamente e non è stata travisata, come ho spiegato prima concedendo il beneficio del dubbio, sicuramente è in contrasto con la Laborem Exercens dove il lavoro è considerato un diritto naturale.

 

E’ lo Stato che deve garantire questo diritto, o il singolo che deve impegnarsi per trovare lavoro?

 

Per la Chiesa il lavoro è un diritto essenziale perché l’uomo sia veramente uomo, e senza di cui non è tale. L’occupazione va quindi sviluppata a livello sociale, e non solo individuale, con gli strumenti della politica e dell’iniziativa privata. La Laborem Exercens pone delle condizioni precise anche al diritto di proprietà, che non vale in assoluto, ma che deve essere favorevole alla creazione del lavoro. Trova così espressione il primato del lavoro rispetto al capitale, in quanto è il primo a generare il secondo attraverso il risparmio. Al contrario il capitale, se distolto dalla creazione di nuovo lavoro, normalmente va verso posizioni che la Dottrina sociale della Chiesa non valuta in modo positivo. Secondo questa logica, anche l’attuale crisi è nata dal prevalere del capitale e del profitto.

 

Intende dire che Giovanni Paolo II era contrario al profitto?

 

No, Karol Wojtyla era a favore del profitto, ma sosteneva che quest’ultimo non poteva prevalere sul lavoro.

 

Perché il lavoro è considerato così fondamentale dalla Chiesa?

Perché un uomo senza lavoro è privato della sua dignità. Chi non ha un reddito è un uomo disperato, colpito nelle sue relazioni di padre di famiglia e di uomo che vive nella società. Rimanendo disoccupato, smette di essere qualcuno che si sente utile e diventa invece menomato di una parte essenziale di sé.

 

La motivazione di questa centralità del lavoro è soltanto economica?

 

La Laborem Exercens pone la questione su due differenti livelli. Il lavoro è la continuazione della Creazione del mondo, e quindi è quell’attività dell’uomo che partecipa e completa l’opera divina. E’ anche questo il senso del rispetto della natura e dell’ambiente nel lavoro e per il lavoro.

 

Qual è invece il secondo livello?

 

Sul piano immediatamente economico e sociale, l’assenza di lavoro diventa disperante per la persona aprendo un vulnus per la stessa società. Quando si accumulano queste ferite, non si sa dove possano poi andare a manifestarsi. Se il lavoro viene a mancare continuamente, come accade soprattutto per i giovani, avremo una società con problemi sempre più gravi, che andranno ben oltre la crisi economica. La conseguenza sarà quindi che si invilupperà non soltanto in una recessione, ma in qualcosa di ben peggiore, e cioè in una disperazione.

 

(Pietro Vernizzi)