La Fornero, tutto sommato, è soddisfatta e fiera della sua riforma del mercato del lavoro. Benché sia il frutto di una serie di compromessi che l’hanno parecchio allontanata rispetto a quella che aveva in mente all’inizio. C’è una cosa, però, che proprio non riesce a digerire. Ovvero, la mancata equiparazione tra pubblico impiego e privato. Specie, sul fronte dei licenziamenti. Lo ha ribadito molte volte. Lo ha fatto anche ieri, in un botta e risposta con i disoccupati che si trovavano al centro per l’impiego di Torino: «Tenuto conto delle specificità del pubblico impiego, auspico parità di trattamento tra i lavoratori del settore privato e quelli del settore pubblico», ha detto. Eppure, qualcosa non torna. Carlo Alberto Nicolini, avvocato esperto di diritto del Lavoro, spiega a ilSussidiario.net cosa. «L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori – afferma – è considerato pacificamente applicabile anche al settore del pubblico impiego. Oltretutto, la giurisprudenza più recente ha esteso la normativa sui licenziamenti anche ai dirigenti pubblici». Non solo: «Per quanto riguarda i licenziamenti per motivi oggettivi, si prevedono discipline specifiche finalizzate all’agevolazione dei processi di mobilità in maniera simile al settore privato, anche se con gli opportuni adattamenti». In sintesi: «Tra le normative che disciplinano il settore pubblico e quello privato ci sono parti comuni per quanto riguarda l’articolo 18 mentre, sul fronte della mobilità, ci sono norme con regolazioni molto simili al settore privato, seppur calibrate sulla specificità del pubblico».
Nella pratica, in realtà, al di là della sostanziale equipollenza, si instaurano dinamiche molto differenti. «Il problema, tanto per cominciare, è capire se le pubbliche amministrazioni siano realmente intenzionate ad attivare questi circuiti di mobilità. Spesso, inoltre, il dirigente che commina il licenziamento rischia di incorrere in pesanti sanzioni. C’è un problema di ripartizione delle responsabilità anche se esistono, contestualmente, organismi appositi, legittimati a mettere in campo le procedure disciplinari più gravi compreso il licenziamento». Nelle pubbliche amministrazioni, in sostanza, c’è maggiore reticenza nell’applicare la disciplina. «Semplicemente, non c’è la volontà di licenziare». Va anche detto che, nel pubblico, ci sono casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro è più facile che altrove. «Rispetto alla normativa sulle pensioni, licenziare i lavoratori anziani delle pubbliche amministrazioni è meno difficile che nel privato perché è possibile farlo anche in quella fascia di età compresa tra la maturazione dei requisiti minimi e il compimento dell’età per la pensione di vecchiaia con requisiti pieni».
A complicare il quadro, paradossalmente, potrebbe intervenire proprio la riforma della Fornero. «Nella riforma del lavoro si parla di applicabilità della disciplina anche al lavoro pubblico. Una norma sostiene che i medesimi principi vadano applicati in entrambi i comparti, salvo affermare che, per quanto concerne il pubblico, sarà necessario, in futuro, emanare dei decreti che provvederanno a stabilire le modalità attuative concrete». Si tratta di un grosso problema. «La norma, infatti, non è esplicita e rischia di determinare una situazione poco chiara. In sostanza, non sappiamo, una volta che l’articolo 18 sarà stato riformato (sempre che la riforma venga approvata dal Parlamento e diventi legge dello Stato), se sarà esteso, effettivamente, anche al pubblico impiego. O se il pubblico impiego andrà avanti con le vecchie leggi. Quella norma, in fase interpretativa, darà agli avvocati un sacco di lavoro in più».
(Paolo Nessi)