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Il Disegno di legge approvato dal Senato il 31 maggio sancisce – sin dal punto d) dell’Art.1 – l’importanza di “rendere più efficiente, coerente ed equo l’assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive in una prospettiva di universalizzazione e di rafforzamento dell’occupabilità delle persone”. Massima attenzione, dunque, al tema dei servizi al lavoro? In realtà, oggi diremmo piuttosto – e sorprendentemente – nessuna attenzione, almeno a guardare i fatti.



L’indirizzo della discussione prima che la Riforma approdasse in Parlamento indicava, in effetti, una finestra dedicata ai servizi al lavoro, che però è stata fagocitata dalle schermaglie sull’articolo 18 e dalla decisione del Governo di “tagliar corto” per rispettare determinati e improrogabili termini temporali di approvazione. L’argomento è pertanto rimasto sostanzialmente inespresso, il che fa sperare che divenga tema di approfondimento subito dopo l’approvazione della Riforma.



Poste queste premesse e auspici, proviamo, a partire da alcune esperienze di eccellenza realizzate all’estero o in qualche nostra Regione, a identificare alcuni punti chiave finalizzati a individuare una più adeguata architettura futura dei servizi al lavoro in Italia.

Finanziamento della domanda e non dell’offerta. È la domanda che deve orientare i servizi e non, viceversa, l’offerta dei servizi a costringere la domanda ad adeguarsi. Pertanto, le risorse che lo Stato ottiene dalla fiscalità generale e che decide di destinare al welfare devono essere utilizzate per interventi di promozione e sostegno della domanda di servizi; secondariamente, si tratta di intervenire sul lato dell’offerta dei servizi, sia con misure legislative (apertura del mercato dei servizi) che amministrative (accreditamento istituzionale e di eccellenza). Infatti, favorendo una pluralità di soggetti eroganti, si scongiurano i rischi della formazione di posizioni di rendita, cioè di monopolio (pubblico o privato che sia) e si concede ai cittadini una reale libertà di scelta. Questi ultimi, infatti, raggiungono un grado di soddisfazione più elevato, grazie alla possibilità, attraverso le loro decisioni, di esercitare un oculato controllo sulla qualità delle prestazioni di cui sono i destinatari.



Governance al pubblico e gestione a chi porta risultati. Occorre fissare con chiarezza che la governance delle iniziative è bene che rimanga nelle mani della Pubblica amministrazione, ma che la gestione deve essere delegata a chi – per ruolo, esperienza e competenza – è in grado di raggiungere in modo efficiente i risultati attesi: il più delle volte sono proprio i soggetti privati quelli capaci di svolgere al meglio un valido servizio pubblico. In quest’ottica e in base all’esperienza diventa prioritario rendere trasparenti i risultati dei singoli operatori affinché la scelta che ciascun lavoratore compie per la riqualificazione delle proprie competenze sia maggiormente consapevole. Ai centri per l’impiego spetti la selezione dei beneficiari, alle agenzie private l’erogazione dei servizi. Inutile continuare con una costosa e inefficace duplicazione di ruoli e competenze.

Premialità ad obiettivi ottenuti. Per un adeguato funzionamento delle iniziative è necessario che si istituiscano efficaci politiche di premialità, sulla base del raggiungimento degli obiettivi. Un incentivo al risultato ha il pregio di selezionare solo gli operatori migliori e di offrire al lavoratore criteri di misurabilità del grado di soddisfazione sulla base della qualità del servizio.

Qualificazione degli enti privati coinvolti. È inoltre fondamentale procedere a un’attenta qualificazione degli enti privati coinvolti: la titolarità di queste scelte deve continuare a essere parte integrante del compito di garanzia che il Pubblico deve esercitare nei confronti della collettività, ma occorre far evolvere il Sistema dell’accreditamento da un criterio meramente istituzionale a uno di eccellenza, promuovendo e qualificando solo gli enti che hanno mostrato risultati sul campo. Occorre eliminare tutti coloro che hanno avuto accesso ai contributi senza risultati.

Centralizzazione approcci di fondo e delocalizzazione scelte specifiche. In generale, va osservato che nella realizzazione dei servizi al lavoro è determinante l’obiettivo di ottenere la massima semplificazione ed efficientamento delle iniziative. Il policentrismo istituzionale non deve portare a un’eccessiva frammentazione delle politiche – anche in termini procedurali – pena la perdita di competitività degli operatori destinati ad inseguire un quadro regolatorio che muta da Regione a Regione e da Provincia a Provincia. Lo Stato, agendo attraverso un numero limitato e ben focalizzato di enti, deve definire alcuni criteri e un protocollo comune, concordato con le Regioni in sede di conferenza unificata, lasciando a un livello territoriale la definizione dei target cui rivolgersi e delle scelte attuative, certi di poter contare su un sistema regolatorio comune.

A partire da queste istanze sarà fondamentale dar luogo a dibattiti e aprire tavoli di confronto quanto prima, che accelerino il processo di definizione di un Sistema che – se davvero efficace – può rappresentare un’opportunità di crescita e non solo un fattore di assistenza. A questo dibattito non sarà possibile non coinvolgere anche interlocutori come le Agenzie per il lavoro, che in questi anni si sono prestate a svolgere numerose sperimentazioni nelle varie Regioni con risultati spesso eccellenti, contribuendo in tal modo a sviluppare nuovi e più efficaci percorsi per i servizi al lavoro nel nostro Paese.

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