Super-Inps, le pensioni non sono a rischio. A garantire la sostenibilità del sistema previdenziale italiano ci pensa lo Stato. Non deve preoccupare dunque il buco di bilancio di quasi 6 miliardi di euro che l’ente unico delle pensioni ha in pancia per effetto del disavanzo pregresso dell’Inpdap, l’ente previdenziale dei dipendenti pubblici, soppresso e accorpato all’Inps con la manovra Monti, il dl 201/2011. A gettare acqua sul fuoco è intervenuto ieri mattinata in audizione alla Camera il ministro del Lavoro Elsa Fornero, dopo gli allarmi sulle “pensioni a rischio” lanciati dai maggiori quotidiani nazionali a commento della nota con cui martedì il Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps ha approvato la variazione di bilancio 2012, chiedendo al governo interventi correttivi per via del disavanzo, interamente imputabile all’Inpdap, di 5,8 miliardi di euro, un importo destinato a sfiorare i 7 miliardi nel 2013 (6,9 miliardi) e nel 2014 (6,9 miliardi). Per provare a fare i conti in tasca al neonato ente unico delle pensioni, e per scoprire cosa cambia per gli italiani, ilsussidiario.net ha chiesto aiuto ad Alberto Brambilla, già Sottosegretario al Welfare con delega alla Previdenza sociale e docente di Gestione delle forme previdenziali pubbliche e complementari all’Università Cattolica di Milano. Che il bilancio del sistema previdenziale italiano sia in rosso, e non di poco, non è certo una novità. Brambilla, lo aveva già stimato qualche settimana fa parlando di un buco da 13 miliardi di euro. «Nel 2010 la spesa complessiva per prestazioni pensionistiche, al netto dei trasferimenti dalla Gestione interventi assistenziali Gias (pari a 33 miliardi di euro per il privato e 9 per il pubblico), ha raggiunto i 198 miliardi di euro, con un incremento di 6 miliardi (+3,2%) rispetto al 2009», spiega Brambilla, mentre «le entrate contributive da produzione si sono attestate a 185 miliardi, in crescita di circa l’1% rispetto all’anno precedente. Il sistema ha quindi presentato un disavanzo gestionale di oltre 13 miliardi di euro, che corrisponde al 39,7% in più rispetto al deficit di 9,3 miliardi registrato nell’anno 2009». L’intervento dello Stato con i trasferimenti dei mesi scorsi ha fatto sì che l’importo del disavanzo venisse ridotto ai 5,8 miliardi di cui ha parlato ieri il Civ, dovuti prevalentemente al deficit che l’Inpdap ha portato in dote nella fusione con l’Inps.



Si tratta di un pregresso che ha due cause ben precise, spiega Brambilla: in primo luogo, «i trattamenti molto più generosi dei dipendenti pubblici che nel 1996 erano quasi il doppio di quelli di un dipendente privato, a parità di carriera contributiva e di contributi versati, e che hanno sfiorato punte dell’80% mentre oggi saranno al 35/40%. Con il metodo contributivo bastava infatti versare 100 negli ultimi 5 anni di contributi per andare in pensione con una rendita di 70»; in secondo luogo pesa il fatto che, «prima delle riforme Amato (1993) e Dini (1996), lo Stato non versava i contributi: li pagava il dipendente pubblico nella ragione di 1/3 del 33%, ma non il suo datore di lavoro», lo Stato, appunto, come invece avviene nel privato. Sono queste le cause all’origine dello squilibrio nei conti dell’Inpdap oggi ereditati dall’ente previdenziale unico.



Un buco di bilancio che in ogni caso ha sempre pagato lo Stato, con i trasferimenti di bilancio nella legge finanziaria di fine anno. Ossia con i soldi dei contribuenti. Gli italiani dunque possono dormire sonni tranquilli: ha ragione il ministro Fornero, la sostenibilità del sistema previdenziale è garantita.

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