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La lunga discussione che ha preceduto la Riforma del Lavoro ha preso le mosse dall’interessante ipotesi di semplificare e ridurre le forme contrattuali spurie – purtroppo enormemente diffuse – e di dare spazio a nuovi e più adeguati strumenti di “flexicurity”. Come? Avvalendosi innanzitutto del supporto delle Agenzie per il Lavoro, considerate, pressoché all’unanimità, come le uniche realtà in grado – grazie al contratto di somministrazione – di combinare la flessibilità richiesta dalle aziende con la domanda di continuità professionale e di redditività giustamente invocata dalle persone.
Proprio per questo, le Agenzie per il Lavoro erano state indicate da tutti come “i nuovi protagonisti” del mercato del lavoro, capaci di garantire, anche contrattualmente, le modalità più idonee affinché la necessaria flessibilità non si traducesse, di fatto, in forme di precarizzazione del lavoro con effetti devastanti.
Che cosa ne è stato di tutte queste buone intenzioni? Una logica concertativa, non adeguatamente guidata, ha bloccato la preannunciata, virtuosa, dinamica di sviluppo ed incentivazione delle forme di buona flessibilità: al Senato, infatti, non si è trovato il modo di condividere con le Parti Sociali le necessarie decisioni, mentre il passaggio alla Camera è sostanzialmente saltato per le note “ragioni di Stato”.
Che fare adesso? Non tutto è perduto: abbiamo ancora un’ultima opportunità, che è quella di mettere mano alla Riforma del lavoro utilizzando lo strumento offerto dal Decreto Sviluppo.
In estrema sintesi, ci sembrano quattro i punti fondamentali per non perdere quest’ennesima occasione e rendere le APL reali protagoniste del necessario cambiamento del nostro mercato del lavoro.
Valorizzazione del contratto di apprendistato. L’attuale Testo Unico in materia di apprendistato dispone che il datore di lavoro possa assumere apprendisti, oltre che direttamente, anche tramite le Agenzie per il lavoro, ma esclude la possibilità di inviare apprendisti in somministrazione a tempo determinato, per il quale può essere utilizzato solo lo strumento dello staff leasing. Questa è già una grande limitazione: perché l’apprendistato funzioni è necessario introdurre almeno una nuova e specifica tipizzazione legale di ricorso allo staff leasing in apprendistato in tutti i settori produttivi privati. L’apprendistato deve cioè costituire una ragione in sé – una causa a sé stante – per la somministrazione a tempo indeterminato di un apprendista, senza che vi siano ulteriori limitazioni circa le cause produttive specifiche del suo utilizzo. In caso contrario si finirà con l’escludere, di fatto, l’utilizzo reale del contratto di apprendistato in somministrazione, relegandolo ad attività del tutto marginali. Il recentissimo accordo bipartisan, che potrebbe condurre a breve ad un importante emendamento nel Decreto Sviluppo, sembra aver proprio introdotto una causale specifica per la somministrazione in staff leasing di apprendisti in tutti i settori produttivi, riconoscendo finalmente l’importante ruolo delle Agenzie per il Lavoro, e dando loro una più ampia possibilità di supportare le aziende clienti nell’utilizzo di questo strumento. Se non interverranno strane “inammissibilità” degli emendamenti al succitato decreto o repentine marce indietro, possiamo ritenere aperta la sfida: pensiamo infatti che a queste condizioni l’apprendistato potrà rappresentare non solo uno strumento trasparente e rigoroso, non solo una forma di rapporto lavorativo equo tra le parti, ma soprattutto un indispensabile driver in grado di favorire la crescita del nostro Paese.
Incomputabilità nei 36 mesi dei periodi di somministrazione svolti con lavoratori assunti a tempo indeterminato. Nell’arco temporale massimo di flessibilità consentita alle aziende, pari a 36 mesi, vengono oggi ricompresi anche i periodi di missione in somministrazione di lavoro a tempo determinato. Questa disposizione prescinde dalla qualificazione del rapporto di lavoro che lega il lavoratore e l’Agenzia. A nostro avviso va chiarita in maniera inequivocabile l’esclusione dal computo dei 36 mesi dei lavoratori somministrati assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato dall’Agenzia, trovandosi questi ultimi già in condizione di stabilizzazione grazie alle APL.
Acausalità del contratto di somministrazione a tempo determinato in caso di assunzione di lavoratori a tempo indeterminato. Introduzione di una specifica ipotesi di acausalità del contratto commerciale di somministrazione di lavoro a tempo determinato nel caso di utilizzo di lavoratori assunti dall’Agenzia con contratto di lavoro a tempo indeterminato. La rimozione del vincolo causale favorirebbe in maniera significativa l’ingresso nel mondo del lavoro di lavoratori direttamente “stabilizzati” dall’Agenzia per il Lavoro, incentivando normativamente – e senza alcun costo per la finanza pubblica – il ricorso al contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Abrogazione della quota di incremento contributivo ASPI e riduzione del conseguente depotenziamento del fondo di formazione dei lavoratori somministrati. Le Agenzie per il Lavoro sono tenute a versare un contributo pari al 4% della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato per l’esercizio di attività di somministrazione a un fondo bilaterale appositamente costituito (Forma.Temp.). Tali risorse sono destinate a interventi di formazione e riqualificazione professionale, nonché a misure di carattere previdenziale e di sostegno al reddito. La Riforma prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2013 una quota-parte pari all’1,4% sia destinata al finanziamento dell’ASPI, con conseguente minore apporto di risorse per gli scopi formativi e di riqualificazione per i quali il contributo era stato introdotto. Questa misura – che ora sembrerebbe poter essere posticipata di un anno – va abrogata, poiché attraverso l’introduzione di una aliquota destinata al finanziamento di uno strumento di politica passiva si depotenzia un efficace intervento di politica attiva, con effetti disastrosi per l’occupazione.
Queste quattro proposte consentirebbero di introdurre nel sistema alcuni reali strumenti di flexicurity, facendo leva in modo efficiente sulla capillarità dei servizi erogati dalle APL. Tale intervento rappresenta oggi una priorità assoluta per il nostro Paese in termini politici, culturali, economici e sociali. Al contrario, limitarsi a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte – senza che il Governo definisca ed esprima un orientamento chiaro e forte – può avere effetti devastanti nell’attuale situazione italiana ed europea; così come assumere decisioni avventate ed unilaterali comporta il rischio – come si vede – di esacerbare disuguaglianze e alimentare un pericolosissimo conflitto sociale che il nostro Paese non può permettersi.
Qual è allora la strada da seguire? Quella di intraprendere, con grande decisione ed audacia, percorsi capaci di combinare gli interessi di tutti, perseguendo il bene comune. La flexicurity rappresenta certamente la principale di tali direttrici di sviluppo per ciò che concerne il mercato del lavoro. Gli accadimenti che stanno caratterizzando la nostra storia recente rendono, del resto, sempre più evidente come il nostro Paese abbia bisogno di una leadership capace di rischiare e di perseguire con fermezza questa strada.