L’argomento più dibattuto degli ultimi giorni è certamente la spending review, in particolare per quanto riguarda l’impatto che avrà sul Paese e sulla Pubblica amministrazione. Ho già espresso totale consenso, seppur con qualche specifica, a quanto sta facendo questo Governo e ho chiesto al sindacato un atteggiamento responsabile e coerente, che supporti il cambiamento nella Pubblica amministrazione invece di opporvisi e di contestarlo.
Il dibattito di questi giorni mi suggerisce alcune ulteriori considerazioni. Premesso che una prima fase di tagli “lacrime e sangue” resta necessaria, pur con il rischio che si rivelino poco meritocratici, è fondamentale agire per cambiare una cultura che conta decenni di raccomandazioni stratificate, spoil system politici e cattive selezioni, quando dovrebbe invece puntare su un corretto sostegno pubblico all’economia. Sono convinto che alcuni cambiamenti strutturali non possano essere più evitati e siano anzi da introdurre urgentemente nella macchina burocratica del nostro Paese.
Non credo di dire niente di eccezionale nel sottolineare che finora il dipendente pubblico è stato in genere selezionato secondo criteri più formali che sostanziali, in modo costoso e disordinato (tantissimi piccoli concorsi per pochi posti) e che poi si è ritrovato a lavorare in un ambiente rigidamente burocratico che disincentiva l’impegno e non premia in alcun modo l’eccellenza nei risultati. Questo stato di cose deriva dalla normativa sui concorsi pubblici, dalla forma egualitarista dei vari contratti del pubblico impiego, dalle cattive abitudini clientelari e dalle norme generali dello Stato e, in alcuni casi, derivanti dalla Costituzione.
In sostanza, riformare correttamente la Pubblica amministrazione e portare un contributo al risanamento del Paese significa affrontare in modo strutturale questi ultimi problemi, mentre si procede con l’attività di spending review. Si rischia altrimenti di ripetere gli stessi errori commessi in passato e che hanno causato la situazione attuale.
I tagli della manovra governativa – come sottolineato dal ministro per la Pubblica amministrazione Patroni Griffi – permetteranno probabilmente una seconda fase di assunzioni a partire dal 2014, con la possibilità di inserire un buon numero di giovani e, di conseguenza, di abbassare l’età media e dare nuova linfa al settore pubblico. Purtroppo però il blocco del turnover degli ultimi vent’anni, con il conseguente innalzamento dell’età media del dipendente pubblico, è solo uno dei problemi che affliggono la Pubblica amministrazione.
Per risolvere tutta la situazione bisogna invece attuare un vero e proprio “piano merito”, che comporti la riforma dei concorsi pubblici e che crei degli strumenti idonei di reclutamento, di promozione interna e di mobilità territoriale. Una scelta di questo tipo andrebbe a eliminare le rigidità del concorso tradizionale, ma anche il “far west” delle assunzioni per chiamata diretta, derivanti da motivazioni politiche e fiduciarie, e i famigerati contratti di consulenza. Allo stesso tempo andrebbero introdotte serie metodologie di identificazione degli obiettivi aziendali, di valutazione dei dirigenti e del merito che partano da un’analisi delle realtà che compongono la Pubblica amministrazione, alcune delle quali molto differenti tra loro.
Occorre allora che i sindacati facciano lo sforzo di rinegoziare i vari contratti del pubblico impiego, anche senza la possibilità di attingere a “risorse aggiuntive” e scordandosi di incidere sulla dinamica salariale, già impennatasi nell’ultimo decennio, agendo invece per una sostanziale ridefinizione delle “regole del gioco”. Andrebbero poi ridiscussi i patti parasociali, che normano le nomine e le riconferme degli amministratori pubblici, in modo da proteggerli il più possibile dalle dinamiche politiche più campanilistiche e che valorizzino invece il merito ed i risultati ottenuti.
Per fare questo bisogna anche chiarire, una volta per tutte, quali sono gli indicatori di merito e di successo per le diverse realtà dell’amministrazione pubblica (enti locali, sanità, utilities, trasporto, ecc.), tutte diverse tra loro e con obiettivi diversi e che bilancino l’efficienza con gli “obblighi” di servizio universale, senza confusioni, che fanno solo il gioco di chi si nasconde nelle “pieghe” delle inefficienze del sistema e non del cittadino. Per essere pienamente soddisfatti dell’attività del Governo, vorremmo sentire parlare anche di questo, anche perché molto probabilmente e fortunatamente “qualcosa si sta muovendo”.
Un’ultima riflessione vorrei farla sulle “istituzioni” del Paese (grandi quotidiani, università, enti territoriali, ecc.) e su chi le governa. In Italia c’è un grande fermento di creatività, di energia e di innovazione in tantissimi gruppi di lavoro e di persone e mi riferisco a quotidiani online, associazioni, start up, imprese, gruppi di intellettuali e ricercatori. Mi chiedo se l’energia, l’innovatività e la creatività di queste persone, che spesso “corrono in salita e controvento”, non possa essere incanalata nelle istituzioni più tradizionali, dove si respira, giustamente per alcuni versi, invece maggiore prudenza e conservazione.
Mi chiedo se chi regge le istituzioni fondamentali del Paese non possa farsi “contagiare” da questa attitudine più “ruspante” e rischiosa. Il rischio di fare è di sbagliare, ma anche chi sbaglia in buona fede alla guida delle istituzioni può riconoscere l’errore e farsi sostituire, invece di condannare il Paese a un immobilismo senza fine, e queste prestigiose istituzioni a un lento e inevitabile inaridimento. Ci piacerebbe che questa nuova attitudine si diffondesse in tutto il Paese.