Pomigliano è in fibrillazione. I lavoratori dello stabilimento temono per il futuro dell’azienda e, quindi, per il proprio. La produzione si attesta sulle 700 automobili al giorno; un risultato ben lontano dalle 1050. La crisi delle vendite non dà cenni di diminuzione e, come spiega Fiat in un comunicato, nel primo semestre del 2012, c’è stato un calo del mercato dell’auto, in Europa, del 6,30%, mentre in Italia è stato del 19,7% (del 24,4% a giugno). A fronte di questi dati allarmanti, il Lingotto ha deciso di sospendere l’attività dello stabilimento dal 20 al 31 agosto. Saranno, quindi, messi in cassa integrazione ordinaria 2.146 lavoratori. Biagio Trapani, delegato sindacale della Fim-Cisl, è un operaio, fa parte di quei 2.146 e spiega a ilSussidiario.net quali sono le loro preoccupazioni e aspettative. «Non le nascondo che i lavoratori dello stabilimento sono estremamente allarmati. Temono per il loro destino e si sentono impotenti di fronte allo scorrere degli eventi. Tanto più che non si tratta di una Cassa integrazione derivante da fattori esterni, imprevedibili ed eccezionali, come era accaduto alcuni mesi fa, ma di una flessione del mercato interno. E, oltretutto, ci sono ancora circa 1400 lavoratori rimasti fuori dallo stabilimento che attendevano con ansia la ripresa del mercato per poter rientrare in azienda a pieno regime». A Marchionne, il sindacato, ha ben poco da rimproverare: «Il prodotto è, indubbiamente, uno dei migliori in Europa, mentre gli investimenti effettuati su Pomigliano ne hanno fatto uno degli stabilimenti maggiormente all’avanguardia, a livello mondiale». Certo, sarebbe bene che l’azienda facesse maggiore chiarezza. «Chiederemo un incontro. Vogliamo capire come intenda procede, quale sia realmente il suo piano industriale e come affronterà la crisi congiunturale». Per risollevare le sorti della casa torinese, si è avanzata l’ipotesi di affittare lo stabilimento alla concorrenza, pur di farlo produrre e di consentire alle persone di continuare a lavorarci. «Effettivamente, Mazda ha effettuato alcune visite a Pomigliano e potrebbe essere interessata a un’operazione del genere. Si tratterebbe, tuttavia, di un semplice palliativo alla crisi ma, di certo, non rappresenterebbe la soluzione definitiva». Anche la vendita di Alfa Romeo caldeggiata, in particolare, dalla Cgil, non convince il sindacato: «Non mi pare che la vendita di una porzione dell’azienda possa essere sufficiente a rilanciare la vendite di tutta l’altra parte».
L’unico fattore che potrebbe realmente contribuire a uscire dalla situazione di stallo è determinabile dal governo. «Attualmente, purtroppo, su questo fronte, appare latitante, tutt’altro che in grado di rispondere alla esigenze delle aziende italiane. Paghiamo l’assenza di un’efficace politica industriale». Secondo Trapani sarebbe necessario agire su alcuni versanti specifici: «E’ necessario ripensare la politica fiscale. Non mi riferisco esclusivamente agli incentivi che, in ogni caso, potrebbero agevolare una ripresa dei consumi, ma a un modello più efficace di defiscalizzazione per le imprese produttrici».
Non solo, «è necessario creare le condizioni perché gli investitori abbiano l’interesse a mettere le proprie risorse nel tessuto produttivo italiano». Nel caso di Fiat, questa logica assume una valenza del tutto singolare: «Noi, l’investitore, ce l’abbiamo. Ovviamente, è Fiat stessa. Sarebbe sufficiente, quindi, evitare di creare i presupposti che legittimino Marchionne nell’eventuale scelta di abbandonare alcuni stabilimenti italiani». Quindi? «I sindacati dovrebbe tornare a fare i sindacati. Quelli, in particolare, che nei confronti di Fiat hanno spesso assunto atteggiamenti schizofrenici. Quelli che, cioè, da un lato firmano accordi, dall’altro si rivolgono alle aule di tribunali. Questo comportamento non contribuirà di certo a riportare il lavoro al centro del dibattito».
(Paolo Nessi)