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Se vogliamo che il nostro Paese torni a crescere e ad essere competitivo in termini di produttività, è assolutamente necessario favorire la realizzazione di un mercato del lavoro capace di coniugare maggiore sicurezza e continuità per le persone, con maggiore flessibilità, certezza e trasparenza per le imprese. Per centrare questo obiettivo, l’ipotesi presentata come “strada maestra” della Riforma era quella di eliminare l’inamovibilità del rapporto di lavoro dal contratto a tempo indeterminato – proprio per potergli restituire il ruolo centrale che gli compete – e contemporaneamente mettere ordine nella selva di contratti “in entrata”, spesso utilizzati come antidoti all’eccessiva rigidità del contratto a tempo indeterminato.



Sotto questo aspetto, anche se non compiutamente, qualcosa è stato fatto, soprattutto per limitare abusi nell’utilizzo di Partite Iva, lavoro a progetto e associazioni in partecipazione. Il tentativo è quello di evitare che consistenti quantità di lavoratori, di fatto dipendenti delle aziende in cui operano, vengano gestiti, più che in modo flessibile, da autentici “precari”, offrendo alle imprese facili soluzioni nell’immediato che tendono però ad ostacolare reali percorsi di miglioramento qualitativo e competitivo.



D’altra parte è sempre più evidente il ruolo che le Agenzie per il lavoro rivestono nell’offrire stabilità, sviluppo e tutele ai loro lavoratori, permettendo nel contempo alle aziende utilizzatrici di avvalersi di risorse competenti e flessibili. E aggiungendo, di fatto, valore in termini di servizi per le imprese e di supporti al lavoratore, rispetto a quanto avviene con il contratto a termine che tende a lasciare la persona isolata e alla lunga “precarizzata”, quindi ultimamente non tutelata.

Purtroppo la Riforma non ha avuto il coraggio di favorire risolutivamente l’utilizzo del contratto di somministrazione. Ne ha comunque ampliato la vantaggiosità a livello normativo nei confronti del contratto a tempo determinato tradizionalmente inteso. Come? Quali sono i vantaggi che le aziende possono ottenere attraverso la somministrazione? I principali vantaggi aggiuntivi che la Riforma ha posto in essere, riscontrabili nell’utilizzo della somministrazione rispetto al contratto a termine “tradizionale”, sono:



Aspi: viene definito un contributo aggiuntivo, che graverà sui contratti a termine diretti e non sulla somministrazione, perché compensati da Formatemp.

Stop & go: per l’eventuale riattivazione di contratti a tempo determinato con la medesima persona e mansione devono trascorrere almeno 60 o 90 giorni, a seconda che la durata del primo contratto sia pari o superiore a sei mesi. Nel caso di utilizzo del contratto di somministrazione da parte delle aziende questo vincolo non esiste ed il contratto può essere riattivato immediatamente.

Acausalità: circa l’indicazione della causale di utilizzo, in entrambi i casi vi è un’esenzione, non prorogabile, per il primo contratto se non superiore ai 12 mesi, o del 6% del personale complessivo ma solo se previsto dai ccnl in specifici progetti organizzativi. In caso di utilizzo della somministrazione sono però indicate ulteriori ipotesi di acausalità, ai sensi del dlgs 24/2012: sono quelle che rientrano nell’ambito della soggettività, come le varie forme riferite a “soggetti svantaggiati” – è il caso dei disoccupati percettori di indennità pubblica oltre i 6 mesi o degli adulti soli con famigliari a carico – o, ancora, la parte in cui si sancisce che non vi sia il vincolo causale ogniqualvolta si giunga ad un accordo di secondo livello.

36 mesi: va infine sottolineato che un’attenta interpretazione dell’attuale norma porta ad affermare che, mentre per i contratti a termine vige l’obbligo da parte delle aziende utilizzatrici di stabilizzare i lavoratori dopo i 36 mesi di utilizzo, calcolando in questo conteggio anche i periodi di somministrazione, non è vero il contrario: la circolare interpretativa n°18/2012, appena emanata dal ministero del lavoro, chiarisce in modo esplicito che, se i lavoratori vengono collocati solo tramite contratti di somministrazione di lavoro, senza commistione con contratti di lavoro a termine direttamente stipulati tra datori e lavoratori, l’obbligo di stabilizzazione non opera d’altro canto si ricorda che dopo 36 mesi l’obbligo di stabilizzazione è invece previsto per le apl ai sensi del ccnl di categoria).

Emerge dunque, nei fatti, come il contratto di somministrazione – seppur non in modo immediatamente evidente – sia assolutamente migliorativo rispetto al contratto a termine, coerentemente con la sua possibilità di apportare valore in termini di flexicurity. Considerato che la normativa tende a definire un interessante spazio d’azione possibile, ora la palla passa a tutti i soggetti in campo, che hanno il compito di scoprire fino in fondo le potenzialità degli strumenti loro assegnati e costruire un sistema di flexicurity davvero valido e capace di creare vantaggi per lavoratori e imprese.

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