C’è qualcosa di incredibile nella polemica sulla vicenda dell’Ilva di Taranto ed è che tutti prescindono dalla questione fondamentale, se cioè le emissioni dello stabilimento siano effettivamente cangerogene o no. Se lo sono davvero – e le indiscrezioni sull’analisi dell’Istituto Superiore di Sanità lo confermerebbero – siamo di fronte a una mostruosa “Tyssen-bianca”, che nel giro di alcuni decenni ha provocato centinaia e centinaia di decessi per cancro, una mostruosa fabbrica di morte che va assolutamente fermata: se chiudendola o risanandola e come, in che tempi e con quali oneri a carico di chi, è da vedersi, ma va fermata. Se le emissioni dell’Ilva non sono invece cangerogene, ci troviamo di fronte a un ingiustificabile abuso della magistratura, da neutralizzare quanto prima. Il dilemma è tutto qui, e sembra invece essere una questione secondaria.
Nell’incredulità per quest’approccio insensato, si aggiunge un po’ di stupore sulla polemica contro l’iniziativa dei giudici: ma come, in un Paese dove l’opinione conformista dei benpensanti è sempre schierata per le toghe, dove tutti “hanno fiducia nella magistratura” e dove si fa a gara a mostrarsi rispettosi del sommo giudizio dei tribunali, di fronte a un giudice, anzi più di uno, che riscontra un’urgenza dal suo punto di vista drammatica e interviene con i poteri discrezionali che l’ordinamento gli conferisce, tutti si stracciano le vesti? Ci fosse stato un Gip a Torino, a ordinare un sopralluogo sugli impianti di sicurezza della Tyssen prima del rogo, e ordinarne la chiusura finchè non fosse stato tutto messo a norma!
Prendiamo per ipotesi che la nocività delle emissioni Ilva sia dimostrata inoppugnabilmente. Cosa farebbe uno Stato serio, un sistema efficiente? Commissarierebbe l’azienda, mantendone la produzione attiva solo nelle aree meno nocive e nel frattempo risanerebbe quelle nocive, scaricandone i costi per intero sulle casse della proprietà privata, fino al loro totale prosciugamento, perchè se un imprenditore, in nome del profitto, si macchia di uno dei crimini più abominevoli che si possano commettere, cioè speculare sul bisogno del prossimo, distribuendo morte contro stipendi, è bene che finisca sul lastrico anche a monito per gli altri. E se non bastessero le casse della famiglia Riva per pagare i costi del risanamento, lì si che si dovrebbe intervenire con risorse pubbliche straordinarie, perchè per una città come Taranto perdere un’azienda come l’Ilva equivale a una calamità naturale, com’è stato per l’Aquila perdere centinaia di edifici per il sisma.
Facciamo invece l’ipotesi che le emissioni dell’Ilva, inoppugnabilmente misurate da organismi di assoluta credibilità e di totale superiorità alle parti, si rivelino non nocive, o quanto meno in linea con le prescrizioni di legge (che andrebbero poi periodicamente valutate nella loro congruità con i processi tecnologici e il loro continuo evolvere). Ebbene, in questo caso l’iniziativa giudiziaria non sarebbe più, com’è indubbiamente stata ma non gliene si può fare una colpa, “surrogatoria”, ma si rivelerebbe clamorosamente sbagliata e quindi dannosissima.
Andrebbe perciò immediatamente revocata e a carico dei responsabili non ci sarebbe sanzione bastevole, salvo una: l’estromissione a vita dalla magistratura. Quando un pubblico ufficiale si assume una responsabilità così grande deve sapere cosa rischia: se lo fa consapevolmente, saprà dimostrare le sue buone ragioni; se lo fa con leggerezza, non è degno di fare il pubblico ufficiale e gli va subito sottratto un ruolo così sproporzionato alle sue capacità, un po’ come togliere dalle mani di un bambino una pistola…
Il governo è stato finora piuttosto ondivago, e c’è da sperare che quest’atteggiamento cessi. Imbarazzante, poi, l’atteggiamento dei sindacati, perchè sono proprio i problemi di questa natura a dover rappresentare il principale terreno d’impegno per un sindacato moderno quale però quello dei siderurgici ha dimostrato in questo caso di non essere: la battaglia per le emissioni “sostenibili” avrebbe dovuto essere la loro battaglia, invece ne risultano agli atti timidissi cenni, nessun impegno, nessun approfondimento, nessuna consapevolezza, non si sa se per collusione con una proprietà colpevole – lo dovranno dimostrare le indagini – o per insipienza o magari per malinteso calcolo di opportunità economica e sociale.