Ora che la legge 92 di riforma del lavoro è stata approvata con larga maggioranza, nonostante le critiche, si tratta di applicarla con spirito bipartisan e con fedeltà. Molte volte le nostre leggi del lavoro non hanno avuto seguito adeguato nella pratica e anzi sono rimaste largamente inattuate. L’importanza della fase applicativa riguarda tutta la legge, ma in particolare quelle norme che rinviano a successivi precisazioni e alla strumentazione necessaria per farle funzionare.
Questo è il caso delle norme sulle politiche attive del lavoro nelle principali componenti, comprensive in primis dei servizi all’impiego e della formazione professionale. Qui il legislatore è ricorso allo strumento della delega, non solo per la complessità della materia, ma perché essa incide sulle competenze delle regioni e quindi va regolata con il loro pieno coinvolgimento. Nella normativa sugli ammortizzatori sociali vanno notate alcune novità che segnalano la volontà del legislatore di irrobustire le politiche di attivazione per accelerare il passaggio da un sistema di tutele solo passive a uno schema di workfare: il decalage nel tempo dei benefici di welfare, specie della indennità di disoccupazione, e il rafforzamento della condizionalità dei trattamenti all’accettazione da parte dei lavoratori beneficiari di una offerta congrua di lavoro.
Si tratta di indicazioni da tempo seguite in Europa; una formula simile di condizionalità è presente anche in Italia dal decreto lgs 181 del 2000, anche se finora è rimasta più teorica che reale. La legge 92 interviene opportunamente stabilendo una serie di diritti e doveri delle parti progressivamente più impegnativi, da colloqui di orientamento a proposte di inserimento lavorativo, sostenute da proposte formative con la previsione esplicita di decadenza dal diritto ai benefici in caso di rifiuto immotivato di tali proposte; e si prevede altresì la possibilità di un sistema premiante per i servizi all’impiego impegnati in tali attività. Il punto critico di questi interventi, già rilevato in passato, non sta tanto nelle specifiche normative quanto negli strumenti istituzionali e organizzativi necessari a renderle effettive nella pratica e nel personale a essi dedicato.
Le riforme tedesche del mercato del lavoro hanno avuto successo anche perché sostenute da una strumentazione efficace di organismi con una forte regia centrale e dotati di personale quantitativamente e qualitativamente adeguato. Anche da noi si è proposto, finora senza esito, di istituire un’agenzia centrale, costituita fra Stato e regioni, competente a dirigere e coordinare tanto le politiche attive quanto quelle passive. E’ una proposta da considerare nella fase di elaborazione della delega, con la necessità di precisare struttura e poteri di una simile agenzia e i rapporti fra di essa e gli enti pubblici e privati che dovranno gestire direttamente i servizi di politica attiva.
L’importanza di tali servizi e la complessità di domande che dovranno soddisfare, specie in una fase di crisi e di trasformazione come quella presente, sono tali che tutte le risorse private e pubbliche dovranno essere mobilitate in una logica di collaborazione e di sussidiarietà. Le agenzie private, di varia natura, hanno sviluppato una serie di competenze nei vari tipi di servizi, dal collocamento all’outplacement, alla intermediazione e alla formazione professionale che possono essere utilmente valorizzate, come la legge 92 non solo autorizza ma invita a fare.
Su questi punti dovrà esprimersi specificamente la delega. Per questo è importante che essa venga sollecitamente elaborata con il concorso di tutte le istituzioni e gli operatori interessati. Dai suoi contenuti e dalla loro coerente applicazione dipenderà in modo decisivo il contributo che la legge 92 potrà dare a migliorare il mercato del lavoro e l’occupazione, specie se, come tutti dobbiamo augurarci, la nuova normativa potrà operare in un contesto più favorevole dell’attuale, di ripresa della crescita economica e di stabilità politica.
Un rilancio dei servizi di politica attiva in queste forme è decisivo anche per il successo dell’apprendistato che è valorizzato dalla legge 92, nella sua versione professionalizzante, come la modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. La riforma Fornero su questo punto integra utilmente la normativa del Dlgs 167 del 2011 che recepisce l’accordo Stato regioni parti sociali del luglio 2011, cosi da configurare una revisione sostanziale e un rilancio dell’istituto.
L’intervento promozionale della legge 92 si realizza soprattutto con l’ampliamento della possibilità di utilizzare l’apprendistato professionalizzante passando dal tradizionale rapporto di un apprendista ogni lavoratore qualificato o specializzato a un rapporto di 3 a 2. E’ importante che questa opportunità di aumentare del 50% il ricorso all’apprendistato professionalizzante venga colta dalle imprese, in un contesto, ribadisco, di ripresa dello sviluppo, perché cosi si potrebbe dare un grande contributo all’occupazione giovanile. E la crescita dell’istituto potrebbe assorbire una parte consistente degli attuali contratti cosiddetti atipici parasubordinati che riguardano largamente i giovani.
L’effettività di queste innovazioni normative dipende ancora un volta da come verranno implementate. Qui le premesse per un’efficace attuazione sono migliori che per il passato perché l’intesa triangolare del luglio 2011 sembra aver superato qual conflitto di competenze che è stato finora uno degli ostacoli principali alla diffusione dell’istituto. Un ruolo importante spetta alla contrattazione collettiva cui è rimessa la disciplina dei tratti principali del nuovo apprendistato.
Ma il successo dell‘istituto dipenderà dalla leale collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti: le istituzioni locali competenti per le politiche del lavoro e della formazione professionale e gli operatori pubblici e privati dei servizi di politica attiva sui territori. La legge 92 attribuisce al riguardo un compito rilevante alle agenzie di intermediazione. La possibilità di utilizzare l’apprendistato nell’ambito di contratti di somministrazione è motivata dalla convinzione che le agenzie di somministrazione possono organizzare efficacemente per le imprese non solo la fornitura di manodopera ma anche la formazione dei lavoratori, compresi gli apprendisti, valorizzando la esperienza acquisita con il loro fondo per la formazione. Ci sono dunque le premesse per una diffusione dell’apprendistato come strumento di buona occupazione qualificata per tanti giovani italiani come in generale per un rafforzamento delle politiche attive necessarie a rendere il nostro mercato del lavoro insieme più sicuro e dinamico.
Questo sollecita una sfida diretta alle istituzioni locali sul territorio, alle parti sociali e ai loro enti bilaterali e a tutti gli operatori specializzati, che sono chiamati a impiegare i propri patrimoni di competenze e di creatività.