In una delle sue prime dichiarazioni come nuovo presidente del Consiglio di un “governo dei tecnici”, Mario Monti disse che fare lo stesso lavoro per tutta la vita è un fatto noioso. Quella frase suscitò polemiche, soprattutto da parte sindacale, perché appariva come una sorta di “esaltazione del precariato”, oppure come un incentivo troppo accentuato verso la cosiddetta flessibilità nel mercato del lavoro. Ma probabilmente Monti fotografava, in generale, solo l’attuale situazione del mercato del lavoro a livello mondiale, dove il vecchio “mito” del posto fisso per tutta la vita non è più realizzabile. In tutti i modi quella frase, detta purtroppo con una freddezza e un distacco poco politico, non deve essere stata ben accolta neppure da alcuni dei suoi ministri, soprattutto dalla signora Elsa Fornero, ministro del Welfare, e firmataria della riforma entrata in vigore il 18 luglio.



E’ senz’altro vero che i contratti del cosiddetto lavoro a tempo determinato (per usare il termine più generico e riassuntivo) erano una “selva inestricabile”, così come è altrettanto vero che una tendenza alla fissità, alla garanzia di un contratto a tempo indeterminato, sia una base sempre insostituibile per un proficuo rapporto di lavoro. In questo passaggio di razionalizzazione e di costruzione del futuro mercato del lavoro, il ministro Fornero rischia però, con il suo schema teorico che si preoccupa soprattutto di “accarezzare il pelo” ai sindacati, di non fare i conti con la realtà attuale dell’economia italiana e mondiale, che, vista in tutta la sua brutale realtà, è in “frenata libera” e dove trovare un lavoro anche saltuario sta diventando un’impresa. Alberto Brambilla, già sottosegretario al Welfare, e docente dell’Università Cattolica di Milano, fa con noi il punto sulla situazione.



Professor Brambilla, venerdì c’è stato un consiglio dei ministri piuttosto problematico, perché il ministro all’Economia, Vittorio Grilli, ha detto  che non c’è un euro in cassa, e l’autunno si presenta problematico per alcune situazioni aziendali: Ilva di Taranto, la stessa Mirafiori di Torino. Si doveva parlare di “fase due” della crescita…

Partiamo dalla riforma del lavoro, che è completamente scollata dalla realtà del Paese. In un mondo dove siamo tutti precari che senso ha togliere i contratti a progetto e banalizzare i lavori a chiamata rendendoli possibili fino a 25 anni o sopra i 55 anni? Oppure ritenere una partita Iva vera se dichiara più di 18 mila euro? E in più, se si è costretti a licenziare, l’imprenditore deve pagare tra le 18 e le 22 mensilità. Io mi domando se Elsa Fornero, che fa parte di un governo di grandi economisti, come Monti, di uomini come Moavero e Passera, si rende conto che piccole e medie imprese, artigiani, commercianti e professionisti non sanno come chiudere il mese, non il semestre e tanto meno l’anno. Il ministro ha introdotto una rigidità che non esiste in alcun altro Paese. A tutto questo occorre aggiungere l’ulteriore incremento di contributi che renderanno meno competitivo il lavoro.



 

Forse era necessario varare una riforma lasciando almeno tre anni di tempo per andare a regime, visto l’andamento dell’economia e del mercato del lavoro in questa fase.

 

Questo è il minimo che si possa fare e che spero si riesca a raggiungere con alcune correzioni alla legge. Ma è tutto l’impianto della legge Fornero che parte da una teoria staccata dalla realtà, di un mondo che non è più quello del 2007. La riforma è basata su una teoria e condizionata in negativo dal sindacato e rovescia l’assunto della riforma Treu che partiva da un presupposto che se qualcuno deve lavorare meglio che sia in regola per breve tempo piuttosto che in nero. Oggi in università io sono in difficoltà ad assumere i tutors per i master.

 

L’autunno si presenta problematico anche per i dati della disoccupazione.

 

Guardi  mi hanno telefonato dei ristoratori. Ma comunque lei pensi a tutte le piccole aziende che hanno bisogno di lavoratori a chiamata. Il calcolo che si può fare di tutto questo universo di piccole imprese è di circa cinquecentomila persone. Nel 2010 e nel 2011 la differenza di quanto pagano le aziende e le prestazioni pagate riporta un disavanzo di 12 miliardi. Non sarà diverso nel 2012. A questo punto, con questa rigidità introdotta dalla legge Fornero, che cosa si potrà fare? Come ci ritroveremo nel mese di dicembre?

 

Rispetto a questa realtà, il problema dell’Ilva di Taranto e di Mirafiori a Torino si aggiunge a una situazione di grande incertezza.

Io spero che la situazione di Taranto si risolva e l’acciaieria non debba chiudere. Ho dei dubbi su Mirafiori perché è probabile che la produzione dei nuovi modelli verrà  rinviata e quindi si ricorrerà ancora alla cassa integrazione. Ma quello che è più preoccupante è l’universo di quelle piccole e medie aziende che non sanno più come rigirarsi per sopravvivere in questa crisi e che devono fare i conti con la fine del mese, avendo di fronte questa rigidità sul mercato del lavoro Ma che almeno reintroducano i co.co.co. In questo modo il governo agisce come se fossero fuori dal mondo. 

 

Se si fa la somma di questa realtà problematica a quella degli esodati, si cala nell’incertezza più nera.

 

C’è il rischio di infilarci in un disastro. Gli esodati sono circa trecentomila. Guardi che sulle pensioni sono stati fatti molti errori anche in passato e qui è inutile stare a riaprire questo capitolo. Ma se i problemi si presentano ed esistono, occorre affrontarli con realismo non con delle teorie di scuola, perché, se no, alla fine si finisce proprio in un disastro. Perché? Perché la somma tra esodati, rigidità della riforma del lavoro e situazione attuale è oggettivamente pericolosa.

 

(Gianluigi Da Rold)

 

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