Disoccupazione stabile a luglio. Ma non basta ad invertire il trend negativo dell’ultimo anno. Secondo le ultime rilevazioni Istat, il tasso si attesta al 10,7%, invariato rispetto al mese precedente ma in aumento di 2,5 punti su base annua, confermando il valore più alto dal 1999. Il numero dei disoccupati è di 2,7 milioni, mentre quello degli occupati è pari a 23 milioni. In aumento la disoccupazione giovanile: tra i 15 e 24 anni la percentuale di disoccupati è pari al 35,3%, in aumento dell’1,3% da giugno e del 7,4% sui dodici mesi. Su base annua le persone in cerca di occupazione aumentano del 33,6% (695 mila unità). Solo tra i giovani (15-24 anni) sono 618 mila e rappresentano il 10,2% della popolazione in questa fascia d’età.



Confermato dunque il trend di crescita della disoccupazione. A motivare l’andamento negativo pesano soprattutto due fattori. “Da una parte c’è la forte difficoltà nel creare occupazione da parte delle imprese che non hanno fiducia nel futuro” – spiega Mario Mezzanzanica, docente di sistemi informativi alla Bicocca di Milano e raggiunto da ilSussidiario.net – “dall’altra cè un sistema lavoro che non è capace di valorizzare l’uscita delle persone per reinserirle velocemente. Grazie alla cassa integrazione, molte imprese sono state mantenute in vita; ma ciò non serve a creare occupazione”.



“Si conferma il dato dei primi sei mesi dell’anno – continua  – e come ho avuto già modo di dire su queste pagine, la disoccupazione crescerà fino al 12% entro fine anno. Se poi non si fa nulla per cambiare, nel 2013 il valore potrebbe aumentare ancora fino a 6/7 punti percentuali”.

A proposito, invece, del mercato del lavoro: “il mercato italiano – afferma – è tradizionalmente ancorato su un modello vecchio e incapace di dare respiro all’economia tramite la circolazione dei posti di lavoro. Esistono ancora molti posti vacanti che non vengono trovati per poca trasparenza sulle informazioni. Ma così resta un ampio mismatch tra domanda e offerta. Inoltre, chi perde l’occupazione fa fatica a trovare opportunità per sviluppare la professionalità per altri tipi di lavoro disponibili per cui c’è domanda”.



Sulla riforma Fornero aggiunge, “il problema vero è che, ponendo l’attenzione sulla flessibilità in uscita e sull’articolo 18 (che poi si è rivelato un flop), ha creato più rigidità in ingresso sia per i contratti a tempo determinato che per altre forme contrattuali. La riforma ha cercato di dare maggiore stabilità al lavoro ma su tratta di qualcosa che non può essere ottenuto soltanto tramite soluzioni normative”.

Non solo: secondo Mezzanzanica, proprio a in ragione degli effetti della riforma del lavoro, non è nemmeno da escludere che, presto, possano emergere anche “maggiori criticità rispetto a quelle attuali”.