Lavoro e famiglia, donna e maternità. Nell’arco di venti giorni, tre notizie in tema, apparentemente contradditorie, hanno tenuto banco tra le news più gettonate. Dalla Silicon Valley arriva la notizia che la 37enne Marissa Mayer è il nuovo amministratore delegato di Yahoo!, nonostante sia incinta di 6 mesi sottolineano le cronache nostrane. Dalla sponda opposta degli Stati Uniti rimbalza il dibattito suscitato da “Why Women Still Can’t Have It All” (Perché le donne non possono avere tutto), il saggio con cui Anne-Marie Slaughter spiega perché ha lasciato un prestigioso incarico a Washington nello staff di Hilary Clinton per tornare a Trenton dal marito e dai due figli adolescenti e mantenere la docenza a Princeton. Infine, da Londra arriva un appoggio a questa tesi: “Miss Partito Conservatore”, la bella Louise Mensch, sposata in seconde nozze da un anno, tre figli piccoli dal precedente matrimonio, simbolo delle nuove donne dei Tories, dopo appena due anni dalla sua elezione a Westminster abbandona la politica annunciando ai suoi 100mila followers su Twitter: “Sono discriminata, torno a New York dalla mia famiglia”. Su tre donne in carriera, due hanno scelto la famiglia. Che segnale sia lo abbiamo chiesto a Silvia Vegetti Finzi, psicologa, moglie, madre, nonna nonché, come lei stessa si definisce, “vecchia femminista”.
Donne in carriera che lasciano un posto ambìto, e perseguito, per “salvare il matrimonio” o “non perdere i figli”. È una regressione?
Non necessariamente è una regressione, è una scelta. E vorrei sottolineare che è innanzitutto libertà di scelta della donna, che è una gran cosa, sempre. Poi queste decisioni ci dicono anche un’altra verità: che accordare vita familiare e lavoro è difficilissimo per tutti, a qualsiasi livello.
Queste manager hanno potuto scegliere, certo, ma per tante altre mogli e madri questa scelta è un lusso che non si possono permettere…
Certo, è un’ingiustizia. Queste manager sono senz’altro delle privilegiate rispetto alle donne che “devono” lavorare. E per l’appunto queste notizie devono farci riconoscere quanto si debba ancora fare perché sia garantito ad ogni donna il diritto di essere moglie, madre, lavoratrice.
Un diritto che si può affermare quando…
…quando si pensa ai più fragili. Nessuno pensa ai bisogni dei bambini, delle donne altrimenti ci sarebbe una vera politica di conciliazione tra vita familiare e lavoro. Ci sono troppe aziende a prevalenza femminile che non hanno alcuna azione aziendale su questo tema. Ci sono delle eccezioni, ma sono per l’appunto delle eccezioni, tanto che vengono premiate come casi esemplari.
Perché queste case histories non diventano un modello imprenditoriale?
In Paesi come l’Olanda, in cui si sono realizzate delle politiche conciliative, è documentato scientificamente la positività di questo modello. Lavoro part time, a domicilio, elasticità nell’organizzazione dell’orario sono strumenti che vengono incontro alle esigenze delle donne lavoratrici e delle loro famiglie ma non solo. Converrebbe anche alle aziende. Quanto tempo bruciato nei trasporti, sempre più complicati e difficoltosi! Ma in Italia nessuno si prende la briga di misurarne l’impatto, sociale ed economico. Negli anni 80 si parlava di “tempo del lavoro”, di “tempi della città”, ma tutto si è fermato lì, a quel periodo.
Quali sono i motivi di questa dimenticanza?
Le donne sono sempre più sole, manca un soggetto collettivo che le rappresenti. Le mamme si ritrovano a milioni in internet, sui blog, nei social network, ma questo non serve a niente. Sì, si sfogano, si sostengono nelle loro angosce e frustrazioni, ma non incidono sulla società. Perché la questione della conciliazione tra famiglia e lavoro diventi una priorità dell’agenda politica, occorre un soggetto politico che la imponga. Ma siamo ancora molto lontani da questa realtà, questi gruppi sono solo pre-politici.
Come fare questo passo, allora?
Rimbocchiamoci le maniche, donne. Nessuno ci regala niente.
(Daniela Romanello)