Un nuovo record, un nuovo passo verso il buio della crisi. Nel secondo semestre di quest’anno il tasso di disoccupazione in Italia arriva a toccare quota 10,5%, in crescita di 2,7 punti percentuali su base annua, il livello più alto mai raggiunto dal secondo trimestre del 1999, sulla base di confronti tendenziali. A vedere ancora ben distante la luce di un’eventuale ripresa sono i più giovani, tra i 15 e i 24 anni, il cui tasso di disoccupazione è salito nel secondo trimestre del 2012 fino al 33,9%, il più alto dallo stesso periodo del 1993. I dati che emergono e che IlSussidiario.net commenta con Stefano Fassina, responsabile economico del Partito Democratico, non vedono però sprofondare solamente l’Italia. Secondo quanto comunica Eurostat, infatti, il tasso di disoccupazione del Vecchio Continente vola all’11,3%, il più alto mai registrato dalla creazione della moneta unica, mentre nell’Ue a 27 il tasso è ora al 10,4%. A soffrire maggiormente sono ancora una volta gli under 25 senza lavoro, il 22,6% nei paesi dell’euro e il 22,5% nei 27.



Fassina, quale crede sia l’aspetto più rilevante di questi dati Istat?

Senza dubbio il fatto che non rappresentano una specificità italiana, ma europea. Detto questo, è necessario sottolineare ancora una volta il problema di fondo, vale a dire la rotta che la politica economica dell’Eurozona ha sin qui assunto: manovre restrittive di finanza pubblica e svalutazione del lavoro, interventi che aggravano la crisi in termini economici ma ovviamente anche occupazionali.



Cosa fare dunque?

E’ appunto necessario deviare questa rotta che viene imposta all’Eurozona. Se questo non accadrà, i prossimi mesi ci riserveranno un ulteriore peggioramento della disoccupazione e un aggravamento della recessione, oltre che del debito pubblico. Vorrei infatti far notare a tutti coloro che si dicono ancora convinti che siamo sulla strada giusta che il debito pubblico continua ad aumentare, in Italia e negli altri Paesi, e che un ulteriore peggioramento è previsto anche per l’anno prossimo.

La soluzione non è quindi individuabile a livello di singoli Stati?

No, perché nessun Paese può permettersi assi unilaterali. Nell’area euro, dove le scelte vanno ovviamente concordate, la strada da intraprendere deve innanzitutto partire da un’unione fiscale per rassicurare tutte le opinioni pubbliche che nessuno intende fare debito e farlo pagare a qualcun altro.



Questo in cosa si traduce?

Significa concretamente prevedere che il Consiglio dei capi di governo dell’Eurozona istituisca una legge di bilancio applicabile a ciascuno dei Paesi appartenenti alla divisa unica, che dovrà essere successivamente ratificata dai Parlamenti nazionali; tale legge dovrebbe garantire un controllo collettivo sulle scelte di bilancio dei singoli Stati. Sia l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, sia l’approvazione del Fiscal Compact, vengono, infatti, ritenuti insufficienti. Così facendo, invece, si determinerebbero sanzioni automatiche – in termini di maggiori imposte e di minori spese – per chi eccede rispetto ai piani concordati.

A cosa si arriva successivamente? 

Una volta presa questa decisione, molto impegnativa anche in termini politici, la mossa successiva è proprio quella di rallentare la morsa dell’austerità autodistruttiva. Penso quindi all’introduzione di una “golden rule” che possa escludere la spesa degli investimenti dai calcoli del patto di stabilità e dare in questo modo ossigeno all’economia, alle imprese e dunque anche al lavoro. Vi è poi un’altra serie di misure come l’unione bancaria, i project bond europei per finanziare gli investimenti, il coordinamento delle politiche macroeconomiche per contrastare i paradisi fiscali e per introdurre uno standard retributivo a livello europeo. Passaggi certamente fondamentali in grado di spostare la rotta europea da questa sempre più autolesionistica strada imposta dai conservatori verso una via “progressista” che rimetta al centro l’economia reale, le imprese e il lavoro.

Parlando della situazione occupazionale italiana, come si inserisce la riforma Fornero?

All’interno del quadro che ho appena descritto, la riforma del ministro Fornero risulta essere sostanzialmente irrilevante. Utilizzando una metafora, inserire le regole del mercato del lavoro in questo contesto è come cambiare l’olio a un motore fermo perché non c’è benzina. E la benzina di cui parlo è l’aumento della domanda aggregata in ciascun Paese dell’area euro, obiettivo raggiungibile solamente allentando la politica di austerità recessiva.

Come avvertiva il ministro Passera qualche mese fa, secondo lei è a rischio la tenuta sociale del Paese?

E’ evidente che le attuali condizioni sul piano sociale sono sempre più difficili. Come nel caso del minatore della Carbosulcis, la disperazione e l’esasperazione stanno portando i lavoratori ad azioni sempre più pericolose. Se non vengono percepite prospettive di miglioramento è chiaro che il dramma sociale risulterà sempre meno gestibile.

Il Partito Democratico come si sta muovendo sui diversi fronti?

La cosiddetta “Agenda Bersani” contiene innanzitutto quelle priorità riguardanti la politica economica europea di cui parlavo in precedenza. Sul versante interno, invece, già da tempo proponiamo di utilizzare il maggior gettito Iva dovuto all’aumento dei prezzi della benzina per ridurre l’accise sui carburanti. Chiediamo inoltre che ci sia un’accelerazione effettiva dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese, in particolare quelle più piccole, e che si allenti il patto di stabilità interno per dare la possibilità ai Comuni che sono in condizioni di finanza pubblica meno gravi di fare investimenti e dare lavoro alle imprese del territorio. Stiamo però parlando di misure parziali che non rappresentano una svolta, ma che possono però attenuare le maggiori sofferenze sociali dovute alla recessione.

 

(Claudio Perlini)