Un comunicato dal tono piuttosto minaccioso, ieri sera, ha creato parecchio scompiglio tra i sindacati e i lavoratori della Fiat. Il Lingotto, ricordando alcune dichiarazioni preoccupate circa il futuro di “Fabbrica Italia” di politici e sindacalisti, ha ribadito che, già da tempo, aveva precisato come «avrebbe più utilizzato la dizione». Molti, infatti, secondo l’azienda automobilistica, l’avevano intesa come «un impegno assoluto dell’azienda mentre invece si trattava di una iniziativa del tutto autonoma che non prevedeva tra l’altro alcun incentivo pubblico». Tanto più che, da allora, sino ad oggi, molte cose son cambiate. La crisi è esplosa in tutta la sua intensità, mentre il mercato dell’auto ha subito il peggior tracollo degli ultimi decenni. Infine, la stoccata finale. Un frase che suona tanto come un avvertimento: «Fiat con la Chrysler è oggi una multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia, pensando in primo luogo a crescere e a diventare più competitiva». IlSussidiario.net ha chiesto a Ferdinando Uliano, segretario nazionale dalla Fim-Cisl, come valuta il comunicato del Lingotto. «Al di là di come vengano chiamati i piani strategici delle aziende, a noi interessa che gli investimenti che quel piano prevedeva, che non sono ancora stati attuati – e mi riferisco, in particolare, allo stabilimento di Melfi, a quello di Cassino – siano effettuati. Conosciamo la difficoltà del settore. Nessuno nasconde che, solo quest’anno, in Italia, c’è stata una riduzione di circa il 20% delle vendite. E’ altrettanto vero, tuttavia, che per uscire da una situazione di questo tipo è necessario dare garanzie di prospettive agli stabilimenti e lo si può fare solo con gli investimenti».
Non tutto l’onere, secondo Uliano, può gravare sulle spalle dell’azienda torinese. «E’ necessario, d’altro canto, un’azione da parte del governo a sostegno delle imprese che investono, a prescindere dal settore. Senza ripetere, ovviamente, gli errori del passato, quando, scandalosamente, si diedero sgravi fiscali a chi costruiva capannoni vuoti. Significa, quindi, che eventuali aiuti dovranno essere dati esclusivamente a chi realmente investe in impianti, tecnologie, prodotti, e fornisce prospettive occupazionali». Secondo il sindacalista, il governo, ma anche Marchionne, non dovrebbero dimenticare che, laddove Fiat va bene, è perché lo Stato, in qualche modo, contribuisce alle sue dinamiche positive. «In Brasile riceve degli aiuti, e li ha ricevuti persino dalla liberalissima America. Anche noi siamo contro le logiche assistenziali, certo. Ma, prima o poi, l’Italia dovrà tornare a disporre di una politica industriale. Non possiamo pensare che essa possa limitarsi alle liberalizzazioni di farmacie e tassisti». Uliano, come tanti altri, critica la decisione dell’Ad relativa alla stop alla realizzazione di nuovi modelli. «Noi abbiamo ribadito più volte che sappiamo come un imprenditore debba guardare alle effettive possibilità di vendita di un prodotto; sta di fatto che mantenere prodotti vecchi, che necessiterebbero di un rilancio, non ci sembra la strategia più profittevole».
Va detto, infine, che rispetto a qualche tempo fa, le preoccupazioni del manager italo-canadese si dovrebbero essere stemperate. «Ci aveva detto che, prima di compiere qualunque passo, avrebbe atteso che la situazione europea si chiarisse. Gli spread alti, infatti, determinano tassi di interesse estremamente elevati sui prestiti bancari. E, interessi alti su cifre che veleggiano sull’ordine dei diversi miliardi di euro, rischiano di far diventare la situazione insostenibile. Ora, tuttavia, grazie all’operazione di Draghi la Bce potrà acquistare illimitatamente bond, mentre la decisione della Corte costituzionale tedesca ha sbloccato il Fondo Salva Stati. Direi che le condizioni per tornare a investire, ci sono tutte».
(Paolo Nessi)