In Italia il costo del lavoro è cresciuto nel secondo trimestre dell’anno meno che nel resto d’Europa. Lo certifica l’Eurostat: il costo del lavoro nell’Ue a 27 è aumentato dell’1,8%, dell’1,6% nell’Eurozona (Ue a 17); mentre in Italia l’incremento è stato solo dell’1,1%. Se si scorpora il dato in componenti salariali del costo del lavoro e non salariali, si nota che le prime sono aumentate dell’1,7% nell’Ue a 17 e dell’1,1% in Italia. Mentre le seconde sono aumentate di pari livello dell’1,2%. Per commentare questi dati ilsussidiario.net ha intervistato Maurizio Del Conte, Docente di diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano.
Professore come legge questi dati?
Occorre distinguere. Da un lato c’è l’aumento del costo contributivo o previdenziale del lavoro, che è quello legato a elementi estranei al lavoro stesso: da questo punto di vista siamo in linea con l’Europa. Ma dall’altro c’è il costo in termini di aumenti di retribuzione. E qui cresciamo meno che in Europa. Ciò significa che non aumenta il salario dei lavoratori. Almeno non quanto nel resto d’Europa.
E questo come si spiega?
I dati sull’aumento del costo del lavoro, che è di misura inferiore rispetto al resto d’Europa, misurano indirettamente la perdita di produttività del Paese. Perché, solo se aumenta la produttività, allora può aumentare anche la componente salariale del costo del lavoro. Non è che i datori italiani sono più competitivi perché risparmiano sugli stipendi. È che non riescono a tirar fuori dall’ora lavorata quanto riescono gli altri datori di lavoro europei. Quindi non c’è salario da distribuire, almeno non nella stessa misura degli altri paesi europei.
E questo è un problema.
Si. Perché le crisi sono congiunturali, e passano. Ma se non si aumenta la produttività (cosa che in Italia non succede da troppo tempo), non saremo attrezzati per rispondere neanche a una fase di congiuntura espansiva. La crisi oggi colpisce tutti – e va bene – ma se nel 2013 o nel 2014 dovessimo agganciare la ripresa noi non saremo in grado di far fronte alla ripresa della domanda. O meglio, saremo in grado di farlo ma in modo meno efficiente degli altri. E crescere meno degli altri quando si cresce tutti significa decrescere.
Cosa ci tiene lontani dalla media europea?
Purtroppo in Italia – è noto – c’è un elevato cuneo fiscale, che non è nemmeno così levato come in altri paesi, ma è legato a una dinamica salariale molto piatta. E la ragione più significativa di questo differenziale è che il lavoro in Italia non riesce a produrre il valore che riesce a produrre in altri paesi europei. Di fatto scontiamo il deficit di produttività. Ed è chiaro che, come dicevo, in sistemi dove l’ora lavorata rende molto più di quella italiana sono possibili un recupero e una redistribuzione in termini di salario maggiori che non in Italia.
Se ne può uscire?
Purtroppo il trend negativo è pesante perché in Italia stiamo andando verso un progressivo impoverimento del mercato interno. Calano sia la domanda, perché è sempre minore la capacità di acquisto dei nostri lavoratori, sia l’offerta in termini di valore aggiunto prodotto. E questo secondo fattore è serio, perché ci porta sempre più verso un’area marginale della produzione – quella a minor valore aggiunto appunto – dove la competizione si gioca con i paesi emergenti che, per quanto riguarda il costo del lavoro, sono decisamente più competitivi di noi. È un circolo vizioso che va interrotto incidendo sull’aumento di produttività.
Fosse al governo cosa farebbe?
Il governo dovrebbe fare due cose. La prima è un significativo piano di rilancio industriale premiando le imprese che producono di più creando maggiore valore aggiunto. Un serio piano di sviluppo industriale è ciò che manca veramente al nostro Paese e che, se adottato, ci riporterà a competere con i paesi più avanzati. È urgente, ma per farlo occorre tempo. In secondo luogo bisogna incentivare la produttività.
Come?
Riportando al 10% l’aliquota secca contributiva per gli incrementi di produttività. Sarebbe uno strumento efficace per dare stimolo alle buone pratiche volte a recuperare produttività. E questo si può fare subito. Non aspetterei un giorno di più.
(Matteo Rigamonti)