Nelle organizzazioni esistono comportamenti che contribuiscono ad alimentare la produttività, mentre altri suscitano tensioni, malesseri e determinano un clima aziendale instabile. I primi sono da considerarsi atteggiamenti, competence attitude e asset intangibili che costituiscono fattori di crescita, creano orizzonti, favoriscono la progettualità e lo sviluppo nel medio-lungo periodo. Fra questi fattori vi può essere certamente annoverata la generosità.
Nei libri IV e V dell’Etica Nicomachea, Aristotele definisce la generosità quale il giusto mezzo fra avarizia e prodigalità: il generoso è colui che si comporta con disinteresse e coraggioso altruismo. Si può dunque definire generoso chi con coraggio si prodiga per il bene degli altri senza avere in mente, in nessun modo, l’obiettivo del tornaconto che potrà non essere necessariamente di carattere economico.
L’accresciuta stima dell’opinione pubblica, per esempio, può essere un ambìto tornaconto, così come l’accresciuto apprezzamento di chi ci è vicino. Se dono cifre di rilievo e lo comunico ai quattro venti non posso certo essere definito generoso: sto solo tentando di guadagnarmi maggiore stima, di apparire migliore di quanto non sono. Se faccio doni a chi mi è vicino, ma lo faccio nell’intento di avere qualcosa in cambio, anche solo la sua riconoscenza o la sua aumentata confidenza, sto mirando a un tornaconto e nemmeno in questo caso posso essere definito generoso. Sono generoso, invece, quando il mio dare, il mio prodigarmi, il mio donarmi hanno un unico scopo: il bene dell’altra persona. Dono perché provo gioia nel rendermi utile, perché sono felice di aver colmato un’altrui necessità, perché l’unico tornaconto che desidero è il sorriso di chi è oggetto del mio pensiero, perché il mio piccolo gesto può fare molto piacere a chi ne è destinatario.
Nell’attuale contesto lavorativo una forma di generosità può essere rappresentata dallo scambio del sapere, ovvero dal trasferire a uno o più colleghi il frutto del proprio apprendimento comprese le “conoscenze di fatto”, cioè quelle abilità frutto di esperienze e vissuti, non apprendibili né dalle normative, né dalla istruzione codificata, la cosiddetta conoscenza tacita. Il manager generoso percepisce le situazioni e diventa parte attiva, non sollecitata da terzi, per dare soluzione alle problematiche, anche a quelle latenti, non poste all’attenzione immediata; spesso di tratta di prevenire il disagio di quanti vivono in condizioni non consapevoli e non sanno raccontarsi e vedere oltre.
Nelle organizzazioni il donatore di conoscenza e di informazioni coltiva dei valori che lo portano a pensare che il donare, per esempio il proprio know-how o quello che non è scritto nei manuali, ma che è l’atteggiamento per vivere meglio il lavoro, rappresenti una necessità per lo sviluppo del gruppo di lavoro e della comunità aziendale. D’altra parte molti comportamenti sono contagiosi ed è quindi auspicabile che vengano sempre più attivati quelli orientati al benessere per tramite della generosità e dei comportamenti solidali. Infatti, solo con la cooperazione di tutti si potranno formare “stormi” in grado di auto-orientarsi con la massima sintonia verso obiettivi sempre più impegnativi.
Albert Eistein diceva “ricordo a me stesso che la vita è basata sulle fatiche di persone vive e non e che io devo fare il massimo per dare nella misura in cui ho ricevuto”. La generosità è dunque un atteggiamento, una forma di amorevolezza che ha in sé anche l’idea che i fattori riflessi di fiducia, se diffusi, possono migliorare la qualità della vita.
Se nel passato la parola genus significava comportamenti nobili e signorili derivati da agiatezza ed erogati a soggetti non abbienti, oggi nel contesto della knowledge driven economy, questo concetto va rivisto, se applicato al mondo del lavoro. Infatti, il “ricevente conoscenza” può essere lui stesso un agiato, magari un conoscitore di altri contesti, ma non di quello specifico richiesto in quel momento; quindi è auspicabile che il flusso di conoscenza possa sviluppare una circolarità di “fattori di generosità diffusa” intercambiabili e in grado di assicurare il costante sviluppo della persona e del bene comune.
Molte persone non percepiscono correttamente l’organizzazione nella quale lavorano e alcune volte sono disorientate; per queste tipologie di lavoratori vi è un’obiettiva difficoltà a vivere bene il proprio contesto aziendale e a coglierne le direzioni e gli umori; collocarsi e vedersi rispetto agli obiettivi complessivi dell’organizzazione (concorrenza, efficienza, competitività) può essere problematico per molti, così come può risultare difficile implementare le proprie competenze. Tali criticità vengono sovente superate grazie all’intervento di “esperti di fatto”, ovvero quelle professionalità che hanno maturato soluzioni operative molto efficienti, a volte non riconosciute nelle competenze funzionali. Sono espressione di comportamenti individuali molto utili, “generosi”, che creano le condizioni per attivare network ed aiuti concreti.
Sappiamo che però esiste una “generosità apparente” ovvero “la matematica del regalo”, cioè quella che propone favori e disponibilità, aspettando contropartite. Questi comportamenti sono di fatto manipolatori in quanto spesso il beneficiato da ricevente diventa vittima del donante. Invece una forma di sana generosità è quella che sottintende il rapporto che lega gli erogatori dei saperi con i discenti. Un esempio è rappresentato dal rapporto che lega molti ex studenti alla loro università. Un legame che si esprime con donazioni e lasciti all’ateneo, una volta che gli ex giovani, raggiunta l’agiatezza comprendono l’importanza che l’aver ricevuto un’ottima istruzione e formazione li ha resi indipendenti.
Essere riconoscenti economicamente verso chi ha contribuito a creare la propria ricchezza intangibile fa sì che si crei un circolo virtuoso: da un lato sentimenti di reciproca onestà intellettuale fra i maestri e gli ex allievi, dall’altro una rigorosa e trasparente amministrazione economica dell’Ateneo, che dotato di mezzi può continuare a investire nell’eccellenza e nello sviluppo delle generazioni future.