“L’estate sta finendo… la crisi se ne va…”. A cantare questa bella canzoncina è stato ieri il presidente del Consiglio Mario Monti. Solo che invece di farci sorridere, come avrebbe voluto, il Supermario di Roma è riuscito a fare proprio come i mitici Righeira, quelli dell’”anno che se ne va”. Cioè è riuscito a immagonirci in pieno. A farci star male. Non è che stiamo diventando grandi e non ci va, che dobbiamo tornare a scuola a fare i compiti per l’Europa, lasciare la fidanzatina-piccolo-grande-amore-maglietta-fina e via dicendo, ritrovare la nebbia e il freddo dell’inverno. No, qui il problema non è di nostalgie, ma di paure: è che la crisi non sta affatto finendo. Anzi. Come direbbero persino il mio amico barista, il mio amico contadino e il mio amico benzinaio: la crisi incomincia adesso!
Invece Mario nostro, parlando a Tg Norba 24 alla Fiera del Levante, ha pensato bene di lanciare un messaggio urbi et orbi per diffondere ottimismo e ridare speranza al Paese. “L’Italia è ripartita”, ha clamorosamente annunciato, spiegando che sì, forse la ripresa ancora “non si vede dai numeri”, ma sta arrivando di sicuro. E dov’è? “Dentro di noi”.
Fermiamoci un attimo. L’affermazione che a prima vista può apparire più esoterica è in realtà la più corretta. E’ vero, la soluzione è solo dentro di noi, nel senso che passa da noi tutti, dalle imprese, dalle parti sociali, dai cittadini, dai lavoratori, dal modo con il quale ciascuno di noi si rapporta a questa crisi e decide di affrontarla, capendola e accettandola per quello che è. Detto questo, però, il problema non è che si risolve a dirlo. Il problema è che se anche il sottoscritto Merisio, e il benzinaio, e il barista e il contadino hanno ben capito la questione, purtroppo, il contesto circostante continua a svolazzare abbastanza alto, guardando cifre immaginarie, osservando realtà distorte, bevendo tè annacquati su divani improbabili. E in questo contesto, ovviamente, nel mare dove viaggiano gli hovercraft dell’economia, c’è ahimè, purtroppo, anche il nostro Monti.
Perché nobile è l’intenzione di ridare speranza e infondere fiducia, se questo può servire a invertire il ciclo della sfiducia che alimenta a sua volta la crisi. Ma non è che puoi nemmeno raccontare storie così, solo perché i tuoi amici attorno hanno l’abitudine di sorridere sempre compiaciuti e a denti stretti.
Realtà, guardiamo la realtà, per favore. E la realtà sono 150 tavoli di trattativa aperti, 180mila lavoratori a rischio solo nei prossimi mesi, con la disoccupazione che punta già all’11%, quella giovanile che gioca al fifty-fifty, uno lavora l’altro no. La realtà è che l’America frena, i Brics frenano, la Cina forse non corre più come prima. Che la benzina è diventata un po’ caruccia, i costi per produrre pane e latte sono raddoppiati e i prezzi in genere non tengono a lungo, e le tasse più di così ci ammazzano. Per carità, non è tutto nero. Ma di fiducia e di ripresa, in giro, non è che se ne vedano. Quello che ci va bene, semmai, è in prospettiva lo spread e la tenuta globale del paese in un’eurozona che chissà magari ce la farà a salvarsi. Questo vuol dire Monti. Noi lo speriamo, e se lo dice lui ci fidiamo anche. Non è cosa da poco, se pensiamo che potevamo finire come la Grecia. E dunque c’è si da esultare, ma non troppo però. Perché se la ripresa è veramente dentro di noi, allora forse è meglio che anche la festa ce la teniamo dentro per un po’.