Un milione di firme per chiedere di indire un referendum contro la riforma dell’articolo 18 del ministro del Lavoro, Elsa Fornero. Sono state presentate da Antonio di Pietro dell’Italia dei Valori, Angelo Bonelli dei Verdi e Paolo Ferrero di Rifondazione comunista. Un secondo quesito sul quale sono state presentate le firme riguarda l’abolizione dell’articolo 8 del decreto Sacconi sui contratti di lavoro. Tutto ciò, mentre il capo dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, definisce la disoccupazione che nell’Eurozona ha raggiunto ormai l’11% una tragedia che rischia di schiacciarci.  Ilsussidiario.net ha intervistato Carlo Alberto Nicolini, avvocato giuslavorista.



Quali saranno le conseguenze se la Cassazione dovesse indire i referendum?

Un referendum sulla stessa materia fu già indetto a suo tempo e non raggiunse il quorum, probabilmente non lo raggiungerà neanche questa volta. In ogni caso la materia non si presta a essere regolata sulla base di referendum, perché è particolarmente complessa, con delle implicazioni anche di ordine tecnico molto rilevanti e molto difficili. Gli stessi tecnici che hanno redatto l’articolo 18, hanno dimostrato di non essere stati particolarmente capaci. I commenti di giuristi e avvocati evidenziano come questa norma, così come tutta la riforma Fornero, presenti una serie di incongruenze tecniche che daranno vita a molti problemi interpretativi. Se quindi i sedicenti “tecnici” non sono stati capaci di farlo, immaginiamo cosa possano fare i cittadini che probabilmente ne sanno ancora di meno di quelli che l’hanno scritta.



Il comitato promotore del referendum però non è composto solo da comuni cittadini …

Mi è capitato di interloquire con alcuni giornalisti, che si sono dichiarati firmatari di questo referendum, e che parlando dell’attuale testo di legge hanno commesso delle imprecisioni tali, che sarebbero bastate a bocciare uno studente di giurisprudenza a un esame di diritto del lavoro. Ho quindi più di un dubbio sulla bontà di questa iniziativa. Sarebbe il caso che qualsiasi modifica fosse messa in atto dal Parlamento, con l’ausilio di esperti di diritto del lavoro. Per farlo occorre conoscere non solo il diritto del lavoro sulla carta, ma anche le dinamiche con cui è applicato nella aule giudiziarie. A fine ottobre si è tenuto il congresso dell’Associazione dei giuslavoristi italiani (Agi), che ha messo bene in evidenza tutte queste cose.



Questa proposta di referendum ha anche qualche aspetto positivo?

Sì, in quanto la storia italiana recente dimostra che chi tocca l’articolo 18, da un punto di vista politico muore. Se la richiesta arrivasse a buon fine, forse la paura del referendum potrebbe essere l’unico elemento che potrebbe portare il Parlamento a intervenire. La legge 108 del 1990 era intervenuta appunto sull’articolo 18, il cui fine era quello di evitare un altro referendum.

Quali sono gli aspetto problematici nella riforma dell’articolo 18 della Fornero?

Gli aspetti problematici sono numerosissimi. In primo luogo sono relativi a questioni di carattere sostanziale, riguardanti la differenza tra le varie fattispecie nelle quali vi sono reintegro in forma più pesante o più leggera, o indennità senza reintegro. I commentatori hanno evidenziato come sia estremamente difficile distinguere quale soluzione vada adottata. La riforma Fornero afferma per esempio che nei casi di licenziamento disciplinare c’è reintegro “solo quando il fatto è punito con una sanzione conservativa da parte del contratto collettivo, oppure il fatto non sussiste”.

Che cosa significa questa formulazione?

Sembrerebbe che rientri in questa casistica la fattispecie di un lavoratore accusato di avere rubato, ma che in realtà non ha commesso nessun furto. In realtà è stato dimostrato come una simile interpretazione comporterebbe effetti del tutto irrazionali. Si è quindi giunti alla conclusione che la norma si riferisce non tanto all’inesistenza dell’atto commesso dal lavoratore, come il rubare, ma all’insussistenza di un fatto qualificabile come illecito giuridico. Inoltre quando c’è un licenziamento per motivo economico manifestamente infondato, ciò dà luogo a reintegro, quando invece il motivo è infondato ma non in modo manifesto, si dà luogo all’indennità. Da questo punto di vista i giudici saranno obbligati a utilizzare poteri discrezionali amplissimi, e quindi se si voleva dare certezza sulle varie fattispecie sul reintegro, certamente la riforma Fornero non è riuscita a farlo.

 

(Pietro Vernizzi)