Il dibattito sull’articolo 8 può essere, in questa strana e particolare campagna elettorale, un incentivo per aprire un discorso pubblico su “il sindacato che vorremmo” nel terzo millennio. Le novità introdotte dall’art. 8 nel DL 138/2011 rappresentano, infatti, il tentativo di scardinare, recependo e facendo proprie le migliori esperienze di partecipazione, realizzatesi dentro i luoghi di lavoro con l’accordo di imprenditori e lavoratori, un modo ideologico, superato e, per molti aspetti, conservatore di intendere e vivere l’esperienza sindacale.
Chi chiede l’abrogazione di questa previsione normativa, estremamente innovativa per l’Italia, sembra, quindi, non essersi accorto di come sia profondamente cambiato, rispetto a solo un paio di decenni fa, il modo di produrre e fare impresa e come il nostro Paese si caratterizzi, da troppo tempo, per bassissimi tassi di produttività non più sostenibili e accettabili per un moderno sistema produttivo.
In questo contesto, il dibattito sull’articolo 8 stimola una riflessione ulteriore e più complessiva su cosa significhi, oggi, fare azione sindacale e rappresentanza, come si possa delineare un moderno modello di democrazia partecipata e come si dispiega, in questo difficile momento economico, un’azione di Governo autenticamente riformista e riformatrice. Il tema incoraggia certamente una discussione che dovrebbe stimolare le Parti sociali nel far emergere tutta la ricchezza, la varietà e la pluralità delle posizioni che su queste tematiche le caratterizzano.
Ci si auspica, infatti, che nei prossimi mesi l’associazionismo sindacale si muova in una logica di maggiore ascolto che lo aiuti a tornare in sintonia con il tessuto produttivo e con i lavoratori rispetto ai quali, troppo spesso, sembra manifestarsi, anche in un periodo come quello che stiamo vivendo, un incomprensibile distacco. A titolo meramente esemplificativo, si pensi alla difficoltà per i sindacati di confrontarsi con le giovani generazioni che, in questo momento difficile per l’economia globale, si stanno affacciando per la prima volta nel mercato del lavoro. Viene da chiedersi se i sindacati tradizionali siano sempre in grado di parlare a questi ragazzi, aiutarli e supportarli in scelte cruciali per il loro avvenire e, soprattutto, dare rappresentanza alle loro istanze, alle loro speranze e alla loro fame e voglia di futuro.
Sono queste le domande che, probabilmente, un sindacato moderno dovrebbe farsi nell’affrontare le sfide del presente volendo ancora incidere e contribuire alla modernizzazione del Paese. L’unica alternativa che ha di fronte è, infatti, quella di diventare una nuova “casta” incapace di svolgere la propria missione nella società del terzo millennio e strenua sostenitrice dei diritti degli “insider” e di chi ormai, per raggiunti limiti di età, è già uscito dal mercato del lavoro.
In questo quadro si pensi a quanto le Parti sociali potrebbero fare, a partire dal territorio e dalla loro presenza attiva e collaborativa nelle imprese, per favorire modalità più moderne e partecipate che aiutino l’inserimento/reinserimento delle donne, dei giovani e dei lavoratori espulsi dai processi produttivi a causa delle recenti crisi aziendali/occupazionali. Si rifletta, inoltre, sulle opportunità che potrebbero avere di fronte, in questa prospettiva, sindacati moderni in grado di farsi promotori di modelli innovativi di welfare aziendale con particolare attenzione, a titolo esemplificativo, alle politiche di conciliazione tra il lavoro e gli obblighi familiari.
Una scommessa, in questo quadro, particolarmente stimolante è quella legata al tema dell’occupazione giovanile e della valorizzazione dell’apprendistato. Viene infatti da chiedersi se sindacati e associazioni datoriali credano veramente in quest’istituto che può rappresentare per molti giovani un’occasione unica per entrare da protagonisti nel mercato del lavoro. Modelli innovativi di partecipazione come quelli delineati dall’articolo 8 potrebbero certamente prevedere, anche in questo caso, specifiche azioni di promozione a partire dai luoghi del lavoro.
Questi semplici esempi servono a sottolineare come le grandi sfide della società globale e della grande crisi di inizio secolo, come sembra ricordarci anche il legislatore con l’approvazione dell’articolo 8, non si vincono solamente puntando su grandi riforme organiche, ma, prima di tutto, valorizzando la capacità dei lavoratori e degli imprenditori di cooperare e contribuire, anche attraverso la sottoscrizione di innovativi accordi in coerenza con quella prospettiva che il DL 138 del 2011 apre nell’ordinamento italiano, al rilancio del sistema produttivo e alla ripresa della nostra economia.