Pietro Ichino non è mai stato particolarmente simpatico a gran parte del suo ex partito; da sempre considerato come un corpo estraneo, ora che non ne fa più parte a tutti gli effetti, in molti si sentono più liberi nel contrastarne l’impostazione. «La proposta di Pietro Ichino sul mercato del lavoro contenuta nell’Agenda Monti inasprisce il gap tra giovani e adulti, e non disincentiva davvero il ricorso al lavoro precario», ha affermato l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, responsabile welfare del Pd e capolista alla Camera in Piemonte. L’ipotesi del giuslavorista, capogruppo al Senato della lista di Monti, consiste nella rimozione delle tutele previste dall’articolo 18 in cambio di un contratto a tempo indeterminato. Di segno opposto il progetto di Damiano: «un contratto di lavoro a tempo indeterminato deve costare meno di un lavoro flessibile o precario». Abbiamo chiesto al senatore del Pd, Enrico Morando, come giudica entrambe le posizioni.



Come valuta le parole di Damiano?

Damiano è convinto che la diffusione del lavoro precario sia dovuta al fatto che il costo di un contratto a termine sia minore di quello di a tempo indeterminato. Nella conferenza che il Pd, alcuni anni fa, tenne sul lavoro, si ipotizzò che sarebbe stato sufficiente far costare il lavoro a tempo non determinato di più, e il problema si sarebbe risolto.



Com’è andata a finire?

Nel frattempo, siamo precipitati in una crisi gravissima. E la stessa riforma Fornero che, in qualche misura, va in questa direzione, aumentando il costo dei contratti a tempo non determinato, si è rivelata tutt’altro che risolutiva. Utile, ma non risolutiva. Significa che la soluzione indicata da Damiamo in maniera univoca come la panacea di tutti i mali non è tale.

Eppure, la Fornero introduce una maggiorazione che ammonta soltanto all’1,4%.

L’1,4%, per un datore di lavoro, è un’entità tutt’altro che trascurabile.

Ichino, invece, parla dell’assunzione a tempo indeterminato, a patto di rinunciare alle tutele dell’articolo 18



Sostenere che il progetto di Ichino sia volto a rimuovere qualunque tutela è un modo propagandistico per descriverlo. 

In che termini sta, quindi, la sua proposta?

In reatà, Ichino afferma che man mano che i rapporti di lavoro si consolidano, crescano le tutele, fino a giungere all’impossibilità sostanziale di licenziamento; lo si farebbe costare talmente caro da far sì che siano gli stessi imprenditori non abbiamo alcuna intenzione di liberarsi dei propri dipendenti. Sostenere che la proposta di Ichino sia volta a rimuovere qualunque tutela è un modo propagandistico per descriverla.

Lei, in ogni caso, cosa suggerisce?

Nell’ambito di un insieme di misure volte a favorire il lavoro a tempo indeterminato, deve rientrare anche l’innalzamento del costo della precarietà. Ma non è l’unica soluzione. Anche l’ipotesi secondo cui tutti i contratti debbano essere a tempo indeterminato, con un sistema di tutele crescenti nel tempo – e che mi vede, personalmente, molto favorevole – non può essere l’unica. Probabilmente, sarebbe opportuno sperimentare meccanismi che contemperino le due soluzioni, applicandoli, magari, a particolari settori o in certe Regioni per capire, nel tempo, che effetti producono. Non dimentichiamo che in questa campagna elettorale mi pare che si stia trascurando una cosa fondamentale.

Cosa?

Il sostegno, sia di tipo fiscale che regolatorio, ai contratti di secondo livello. Il governo, per esempio, ha assegnato una delega per regolamentare le forme di partecipazione dei lavoratori all’impresa e, in campagna elettorale, sarebbe bene esplicitare come si intende esercitarla. Credo che la migliore strada potrebbe consistere nella partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa. Una pratica che, se largamente diffusa, potrebbe contribuire notevolmente al rilancio della produttività.

 

(Paolo Nessi)