Mi siedo tardi davanti al pc per scrivere questo mio articolo, dopo una giornata di cose e pensieri, come certamente accaduto a tanti di noi oggi e non solo. Mi tornano alla mente cinque domande, quanto mai fondate, in cui mi sono imbattuta nel pomeriggio e che i consulenti del lavoro hanno iniziato a porre sui propri profili Facebook e Twitter ai rappresentanti dei partiti (qui il testo dell’intero comunicato stampa); leggendole, mi torna in mente una riflessione su quanto il lavoro condirà questa campagna elettorale. Ecco che ora trovo uno strumento semplice e utile per sondare la proposta politica di chi – ormai dalle 20:00 di lunedì sera – si candida a sedere in Parlamento, per giunta sul tema che definisco forse presuntuosamente il più interessante.
Quali sono i problemi più annosi che la categoria dei consulenti ha individuato e perché? A una prima lettura sembrerebbe che il lavoro sia solo il primo profilo con cui indagare gli impegni elettorali, ma grazie alla spiegazione resa in calce a ogni quesito dal comunicato del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro si evince che è sempre lui il tema che fonda tutte e cinque le questioni, riassunte in parole-chiave: lavoro, liberalizzazioni, regole e mercati, sviluppo, giovani. Procedendo in ordine, mi piace ragionare con un foglio word aperto davanti sul perché ritengo giusto scegliere i prossimi amministratori sulla base di quanto mi convinceranno sulle singole voci di questo elenco.
1. Lavoro (“In Italia vi è una sola grande urgenza, priorità delle priorità, l’occupazione. Come intende operare?”): se di fronte all’emergenza occupazionale non si ricorre a correttivi drastici e convincenti, sarà complicato parlare di crescita dell’Italia, a prescindere dal calo dello spread, dal pareggio di bilancio e dalle politiche di austerità. Misure austere sono anzi il nemico numero uno dell’occupabilità e con essa della ripresa. L’operato che vorrei è quindi quello che garantisca in primis l’occupabilità e non anteponga alla sua garanzia un’ottusa difesa di tutele che invece nascono solo quando occupati si diventa.
2. Liberalizzazioni (“In questi anni ‘liberalizzare’ ha significato sempre e soltanto abbassamento della qualità (libere professioni) e concorrenza con poche tutele (chiusura delle edicole). Cosa e come intende liberalizzare? Nel nome dell’Europa e del mercato o del buon governo utile al Paese?”): liberalizzare non può e non deve voler dire negare quanto le professioni hanno finora assicurato, appunto una professionalità di rilievo in molti settori centrali e nei quali non può essere consentito scambiare la qualità con la concorrenza. Fin troppo semplice rispondere che le liberalizzazioni devono essere nel nome del buon governo, che inevitabilmente conduce anche al bene dell’Europa e del mercato.
3. Regole e mercati(“Per ragioni contabili vengono diminuiti i posti letto negli ospedali, vengono chiusi i tribunali, la P.A. ritarda i pagamenti per le consulenze. Intanto le professioni garantiscono con la loro attività sussidiaria il funzionamento del Paese. Ma libere professioni sono un ostacolo al mercato?”): le libere professioni esprimono l’operato diretto dei cittadini che vi fanno parte ai fini del funzionamento del sistema-Italia. I mercati possono solo trarre giovamento dai contributi dei privati, soprattutto quando la contabilità dello Stato e la sua burocrazia da riformare rallentano il progresso. Per questo è giusto domandarsi quale sia la regolazione più adatta a tale scopo, quali le regole capaci di dare al lavoro la forza di migliorare il mercato.
4. Sviluppo (“Contenere la spesa senza una seria programmazione delle politiche per lo sviluppo impoverisce il Paese senza garantire un futuro ai giovani. Tante le mancate riforme ma che è necessario fare. Da dove partire?”): è sacrosanto misurare l’efficacia e la correttezza di una politica di spending review solo in considerazione dello sviluppo a cui essa può portare, perché il risparmio fine a se stesso può rischiare di portare a eccessi che non premiano nessuno in termini di servizi e di welfare. E in quanto giovane sarei pronta a sopportare ogni tipo di sacrificio di tipo tributario o economico in senso lato solo se lo percepisco come volto a uno strutturale progetto di benessere del Paese.
5. Giovani. (“Fino a questo momento per i giovani ci sono state o dichiarazioni di principio o iniziative-bluff come le srl a un euro. Quali le iniziative concrete per dare occasioni ai giovani?”): non vorrei ripetermi, ma non c’è persona contraria all’affermazione per cui il futuro di una società sta nei suoi giovani. Cosa vogliamo fare quindi noi giovani? Io vorrei impegnarmi tanto e senza risparmiarmi in ogni iniziativa seria che la classe politica saprà predisporre e per questo attendo di leggere le risposte che i consulenti otterranno in questo confronto elettorale.
Teniamo gli occhi bene aperti e non fermiamoci a una competenza superficiale, tanto nella nostra formazione professionale quanto in quella politica; e ringraziamo i consulenti del lavoro per strumenti semplici come queste cinque domande, che devono orientare le nostre scelte in modo ineludibile. Per chi non lo sapesse, l’espressione redde rationem nasce proprio in materia di scelta dei propri amministratori (Vangelo di Luca, 16,2) e questo è quello che siamo chiamati a fare con coscienza oggi come sempre.