La “salita” in politica di Mario Monti è stata accompagnata dalla presentazione dei contenuti dell’Agenda (Cambiare l’Italia, riformare l’Europa. Un’agenda per un impegno comune) che dovrà essere sottoscritta dalle varie forze politiche che sosteranno la candidatura dell’attuale primo ministro. Si tratta di un documento tutt’altro che innovativo rispetto alla tradizione politica italiana (altro non è che un programma di governo), ma è interessante per individuare le priorità di uno strano agglomerato politico che si candida seriamente a governare il Paese.



Come hanno già riportato tutti gli operatori della stampa, il capitolo dedicato al lavoro si rifà quasi completamente a un documento del senatore Pietro Ichino, ormai ex esponente del Pd, partito dal quale è uscito proprio perché in disaccordo rispetto alle ricette economiche da proporre al Paese.

Cosa si dice nelle tre paginette dedicate al lavoro? Vengono esposte linee guida programmatiche essenzialmente condivisibili e certamente di buon senso. Sulla diagnosi sono ormai tutti d’accordo, quindi osservare che la disoccupazione sta assumendo proporzioni preoccupanti, che i più a rischio sono i giovani, le donne e i lavoratori anziani, che non si può tornare indietro in materia di pensioni, non è esercizio difficile. Ben più importante è l’individuazione delle cure.



Il prof. Monti non può permettersi di screditare una riforma da lui tanto voluta come quella del lavoro, ma dichiarare che si tratti di “un passo avanti fondamentale del nostro Paese verso un modello di flessibilità e sicurezza vicino a quello vincente realizzato nei Paesi scandinavi e dell’Europa del nord” è un preoccupante segnale di distanza da imprenditori e lavoratori che tutti i giorni con quelle nuove norme ci hanno a che fare. Giusto quindi, come si scrive, “monitorare l’attuazione delle nuove norme per individuare correzioni possibili e completare le parti mancanti”. Circa la “correzione” è la stessa legge a prevederlo, tra l’altro, all’articolo 1.



Quel che manca, invece, è individuato nel succo delle citate tre pagine: semplificazione normativa e amministrativa; superamento del dualismo tra lavoratori protetti e non protetti; rendere più fluidi i percorsi lavorativi; spostare verso i luoghi di lavoro il baricentro della contrattazione collettiva; rilanciare un nuovo Piano per l’Occupazione giovanile; promuovere l’invecchiamento attivo; detassare i redditi per il lavoro femminile.

In materia di lavoro spesso le differenze tra le varie soluzioni tecniche stanno nelle virgole (sono però virgole che ribaltano il senso delle frasi), ma in questo caso è davvero difficile notare le differenze tra questo programma e quanto sostenuto dal centrodestra negli ultimi anni. Ben più facile, invece, è cogliere le differenze con le soluzioni individuate dal centrosinistra, da sempre restio a intervenire sulla normativa (semplificazione legislativa), ancorato al modello di lavoro dipendente subordinato (dualismo tra protetti e non protetti) e scettico verso l’importanza della contrattazione aziendale o territoriale. Il superamento del modello contrattuale dominante (unico modo per stralciare il dualismo regolatorio) e la centralità strategica della contrattazione di prossimità sono direzioni certamente non seguite dalla legge 92 del 2012 di questo stesso Governo, indipendentemente da quanto detto in premessa al capitolo sul lavoro.

Altre e diverse strade sono percorse, infine, dalle forze minori che saranno in campo per le prossime elezioni: certamente conservatrici in materia di lavoro saranno le ricette dei partiti che sosterranno il giudice Ingroia o quelle del Movimento Cinque Stelle, mentre è incentrato sul solo sussidio di disoccupazione (in ragione di un maggior risparmio) il capitolo sul lavoro della lista che farà capo al giornalista Oscar Giannino.

Resta quindi da chiedersi: quali le differenze tra le priorità individuate dallo staff del Premier Mario Monti e i contenuti del Libro Bianco del 2009? Quale dei punti sopra citati non è coerente con l’originale, ma criticatissima, soluzione individuata con l’articolo 8 della legge n. 148/2011 (di conversione del D.L. n. 138/2011), recante «Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità»? Perché allora, invece che ricominciare sempre da capo con l’ansia di affermare come nuove idee già sperimentate, non provare a dare seguito, già in questo ultimo spicchio di legislatura, a quella norma?

Intanto che si perde tempo a ripresentare con parole diverse ricette simili il mercato del lavoro italiano peggiora molto più velocemente che in ogni altro Paese europeo (eccetto Spagna e Grecia, per ora).

Twitter @EMassagli