Dopo l’approdo alla lista Monti del senatore e giuslavorista Pietro Ichino, il Partito democratico presenta tra le proprie fila l’economista Carlo Dell’Aringa, la cui presenza, a detta di Pier Luigi Bersani, “renderà più forte il nostro impegno sui grandi temi sociali e del lavoro”. Con la campagna elettorale ormai nel vivo, la riforma Fornero torna dunque sul tavolo della discussione: tra coloro che chiedono una profonda rivisitazione del testo vi sono in particolare Stefano Fassina e Nichi Vendola, accusati dal presidente del Consiglio uscente di voler “conservare per nobili motivi e in buona fede un mondo del lavoro cristallizzato, iperprotetto rispetto ad altri paesi”. “Pensavo che, dopo il confronto della primavera scorsa sul mercato del lavoro, Monti – ha replicato il responsabile economico del Pd – recuperasse un deficit di conoscenza delle condizioni reali dei lavoratori. E invece vedo che insiste sulla svalutazione del lavoro come mezzo per recuperare competitività”. Cesare Damiano, esponente Pd ed ex ministro del Lavoro, in un’intervista a Il Corriere della Sera tenta la strada della mediazione e, pur annunciando correzioni agli “errori fondamentali” della riforma, sulla flessibilità in uscita fa sapere “che la soluzione trovata sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori va bene”, dicendosi dunque “contrario al referendum promosso da Sel”. Abbiamo analizzato le posizioni delle diverse forze politiche insieme a Michele Tiraboschi, professore ordinario di Diritto del lavoro nonché Coordinatore del comitato scientifico di Adapt (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali).



Quanto crede possa essere definita completa la riforma del mercato del lavoro?

In realtà siamo solo agli inizi. La riforma è in vigore dal luglio del 2012, ma su alcuni aspetti, anche decisamente importanti, si stanno ancora aspettando misure attuative, decreti e orientamenti interpretativi. Su altri punti, inoltre, le circolari ministeriali stanno creando ancora più confusione, mostrando evidenti passi indietro rispetto a quanto stabilito in precedenza.



Su quali punti in particolare?

Penso a temi di grande importanza e controversi come il lavoro a progetto e le partite Iva, su cui le rigidità normative sono state molto stemperate anche dalle circolari emanate dal ministero negli ultimi giorni di dicembre. Bisogna poi ricordare che gran parte dell’impianto della riforma attende l’applicazione pratica nei tribunali, i quali potranno decidere nella sostanza qual è il vero indirizzo della riforma: lo dimostrano le primissime pronunce della magistratura sui licenziamenti che sembrano di fatto andare nella direzione opposta a quella che il legislatore si era prefisso. Per tutti questi motivi il quadro risulta ancora molto incerto.



Così incerto che la riforma potrà subire ancora profonde modifiche?

Di certo chi uscirà vincitore dalle prossime elezioni avrà campo libero per decidere se attuare un intervento di mera manutenzione, di correzione degli errori più evidenti, oppure se abbandonare interi capitoli della riforma considerati inadeguati. Una buona parte della politica, infatti, su un capitolo importante come quello riguardante la flessibilità in entrata vorrebbe addirittura un ritorno al passato, cioè alla legge Biagi.

In che direzione dovrebbe muoversi il prossimo governo?

Innanzitutto sarà fondamentale avere una chiara idea e cultura del lavoro, decisamente assente all’interno della riforma Fornero. Vi sono infatti interventi di liberalizzazione sul tema dei licenziamenti, ma anche nuove rigidità sulla flessibilità e delicati interventi su capitoli importanti come quello riguardante i tirocini formativi, che coinvolgono tantissimi giovani. Sono tutti temi su cui dovrà essere raggiunta un’intesa nelle prossime settimane, ma su cui vi sono ancora posizioni totalmente contrapposte. L’altro grande aspetto riguarda poi lo spazio da destinare alle parti sociali, alla sussidiarietà e alla contrattazione collettiva, su cui finora la riforma Fornero ha fatto davvero poco.

Come giudica le diverse posizioni che si stanno delineando?

Dobbiamo prima di tutto ricordarci che in questo momento tutte le forze politiche si trovano nel vivo della campagna elettorale, assumendo posizioni e rilasciando dichiarazioni certamente utili ai loro fini, ma evitando di affrontare alcuni delicati punti che potrebbero far perdere loro consensi.

 

Per esempio?

 

La realtà è che sia lo schieramento guidato da Monti che il Partito democratico sanno bene che la riforma Fornero non funziona: il Pd vorrebbe addirittura un ritorno al passato, dimenticando quella che è la realtà del mercato del lavoro, sempre più caratterizzata da una disoccupazione crescente e dalla fatica delle imprese ad assumere, senza però rendersi conto quanto può essere negativo ripristinare modelli del passato come questo. Ecco dunque spiegati l’uscita di Ichino e l’ingresso di Dell’Aringa, il quale si è sempre dimostrato molto liberista sui temi del mercato del lavoro. Anche un partito moderno di sinistra, infatti, deve ammettere che per garantire stabilità è necessario puntare sugli ammortizzatori, sulla formazione e sui servizi al lavoro, senza però irrigidire il rapporto di lavoro. Questo è un tema che il Pd non affronta, ma che invece è centrale e soprattutto presente tra quelli che l’Europa ci ha sempre richiesto.

 

La lista Monti invece?

 

Anche Monti e Ichino, per quanto dicano, sono consapevoli che la riforma Fornero sta creando notevoli rigidità alle imprese e che tali difficoltà non portano a creare stabilità ma a far perdere occupazione regolare e a incrementare la quota di lavoro sommerso. Non a caso il progetto Ichino va ben oltre la riforma Fornero, anche se poi Monti ha proposto una ricetta, come quella del salario minimo garantito, che è tipica della sinistra e che non ha mai funzionato a dovere, specie nel nostro Paese. In generale, dunque, quelle attuali sembrano purtroppo solamente schermaglie di tipo tattico che valutazioni vere, effettive e praticabili.

 

(Claudio Perlini)