L’anno nuovo è arrivato e si ricomincia a lavorare. Avranno ripreso anche i circa 20.000 precari impiegati negli enti pubblici siciliani, per i quali il 31 dicembre non è stato l’ultimo giorno di lavoro. Dalla Regione, infatti, in attesa di capire cosa fare, è arrivato il via libera alla proroga fino a giugno 2013: poco prima del Natale, il Governatore Crocetta si è impegnato a trovare i denari con il prossimo bilancio. Così, ecco il rinnovo dei contratti per un bacino di circa 20.000 precari storici, per i quali la Regione, circa dieci mesi fa, aveva previsto un processo di stabilizzazione bocciato però dal Commissario dello Stato, il Prefetto Carmelo Aronica.



Il Parlamento siciliano voleva far passare la loro assunzione, ancora una volta senza concorso, come da buona abitudine. Il Commissario dello Stato, con un’impugnativa lunga quasi quaranta pagine, ha fermato il provvedimento che non rispettava le norme di finanza pubblica e, soprattutto, del merito: non considerava che per essere assunti in un’amministrazione pubblica sono necessari i concorsi.



Ricordiamo il vincolo che fa divieto agli enti locali, in cui l’incidenza delle spese per il personale sia pari o superiore al 40% delle spese correnti, di procedere all’assunzione di personale a qualsiasi titolo. A riguardo, secondo quanto si apprende dal Consiglio della Regione Sicilia, il 70% dei comuni siciliani ha sforato la spesa per il personale del 50%. Cosicché questi lavoratori precari in carico ai comuni vengono pagati per il 90% – e in alcuni casi totalmente – con le risorse provenienti dal Fondo unico del precariato della Regione che ha una dote di 300 milioni circa l’anno. Un capitolo, questo, da non sottovalutare considerati i problemi finanziari della Regione Siciliana, che ha deficit di oltre due miliardi di euro.



Indubbiamente il caso siciliano non è unico in Italia, ma forse per dimensioni sì. Chi scrive conviene con le parole del Segretario Generale della Cisl, Raffaele Bonanni, che circa un mese fa a ilsussidiario.net – dopo l’uscita del Ministro della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi “nella Pubblica amministrazione ci sono 260 mila precari, non è possibile pensare a una stabilizzazione di massa” – aveva dichiarato: “Svegliarsi la mattina e fingere di essere sbarcati su Marte non va bene. C’è un problema, certamente… si tratta di prendere tempo, 6/7 mesi, in modo tale che si possa monitorare ciò che succede nelle amministrazioni, dove ci sono posti dove mancano persone e posti dove le persone sovrabbondano, in modo tale che si possa capire come spalmare quelli che possono essere confermati e in ogni caso riconfigurare costoro dentro un meccanismo di esame-concorso o per titoli, in modo tale che si possa dar loro un titolo che possa togliere loro da una precarietà mortificante per lo Stato, per il pubblico e per i cittadini lavoratori”.

Detto questo, secondo quanto dichiarato dal Ministro della Funzione Pubblica, ci sarebbero degli esuberi e non è possibile stabilizzare tutti i lavoratori a termine. Quindi si tratta anche di fare qualche “taglio” e non solo di riorganizzare gli uffici. Per l’appunto di problema serio (nazionale) si tratta e, a tal proposito, vorremmo porre qualche domanda:

È giusto che lo Stato continui a fungere da ammortizzatore sociale?

Perché il Sindacato acconsente alla riorganizzazione delle imprese e alla conseguente riduzione dei loro organici e resiste alla possibilità di contratti a termine non rinnovati nel pubblico impiego?

Perché le recenti riforme dell’articolo 18 non si sono estese anche all’ambito della Pubblica amministrazione?

Perché non prevedere interventi di politica attiva e percorsi di ricollocamento specifici per lavoratori in uscita dalle pubbliche amministrazioni?

Probabilmente si potrebbe andare avanti con le domande. Queste sono sufficienti a inquadrare un problema in questi termini: oggi non è più tempo di sprechi e tutti viviamo le difficoltà di questa recessione epocale; tuttavia c’è ancora chi, nonostante tutto, è garantito sempre e comunque, al di là di ciò che produce e al di là delle performance del contesto organizzato in cui opera. La scorsa primavera, pochi mesi prima dell’approvazione della Riforma Fornero, un sondaggio Ipsos reso noto da Rai 3-Ballarò interpellava i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e chiedeva loro se fossero d’accordo o meno con l’estensione della riforma dell’articolo 18 anche all’ambito pubblico: il 60% ha detto SI!

Evidentemente in questo Paese non tutto è da buttare e c’è chi, anche nella Pubblica amministrazione, vive il lavoro con responsabilità e dedizione, e non solamente come un diritto a ogni costo. È ora di riscrivere qualche regola e, soprattutto, di non continuare ad aggirare quelle in essere per finalità demagogiche e, anche, clientelari.