Con la crisi del governo Letta la riforma delle pensioni rischia definitivamente di rimanere in alto mare, lasciando più di un’incognita. Per Guido Canavesi, docente di Diritto del lavoro presso l’Università degli Studi di Macerata, ci sono almeno due fronti scoperti, uno dei quali rischia addirittura di aprire una nuova stagione di contenziosi nei confronti dello Stato. C’è in particolare il grosso problema che rischia di aprirsi con la mancata conversione in legge del decreto che precludeva ai lavoratori del pubblico impiego la possibilità di andare in pensione a 70 anni. «Esiste almeno una sentenza che ha riconosciuto a un lavoratore del pubblico impiego la possibilità di proseguire fino a 70 anni». Ma il rischio più grave per Canavesi è l’estrema frammentazione dell’attuale sistema. «In questi anni si sono sovrapposte una serie di disposizioni di legge. Oggi è veramente complesso capire quando un lavoratore matura il diritto ad andare in pensione e a quali condizioni». Questo non assicura la certezza del diritto e non aiuta i lavoratori. Ma soprattutto un sistema così manca di sistematicità: «Non è solo un’esigenza giuridica, ma di buon funzionamento».



Con la crisi di governo che ne sarà della riforma delle pensioni?

Ci sono almeno due aspetti molto significativi che, pur non esaurendo il problema, rischiano di rimanere aperti.

Di cosa si tratta?

Uno è quello delle categorie deboli. Abbiamo un problema di perdita delle prestazioni pensionistiche, perché il sistema di perequazione automatica è abbastanza limitato. Questo è un profilo su cui bisognerebbe fare un ragionamento, anche se evidentemente sarebbe costoso. Ampliare i margini della perequazione, quindi dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita, significa dover reperire risorse. Anche se pare ci sia stata una brusca frenata dell’inflazione in questo periodo.



L’altro aspetto?

Con la crisi di governo, se non viene convertito il decreto legge, rischia di rimanere aperto anche il problema del pubblico impiego.

Cioè?

Nella riforma Fornero c’è una norma che prevede la facoltà per il lavoratore di proseguire fino a 70 anni. Questa disposizione è stata formulata in modo, diciamo, ambiguo.

In che senso?

Nell’intenzione della funzione pubblica, e quindi del governo, la norma non doveva applicarsi ai lavoratori del pubblico impiego. Tuttavia, esiste almeno una sentenza che ha riconosciuto a un lavoratore del pubblico impiego di proseguire fino a 70 anni.



Come si risolve una contraddizione del genere?

Nell’ultimo decreto legge sulla pubblica amministrazione sono state introdotte alcune norme cosiddette di “interpretazione autentica” che servirebbero a sbarrare il passo a questa possibilità per i lavoratori del pubblico impiego.

In che modo?

Da un lato è chiaro che consentire la possibilità di andare in pensione a 70 anni ai dipendenti pubblici è in contraddizione con le politiche di contenimento dei costi, previste dalla spending review che richiedono invece una riduzione degli organici.

 

Dall’altro?

È anche vero che la norma, anche se in modo non chiarissimo, sembra consentire questa possibilità. Non so quindi quanto sia corretta la norma di interpretazione autentica. Se si possa effettivamente affermare che c’è un problema di interpretazione. E quindi bloccare questo diritto ai lavoratori del pubblico impiego. In realtà, più che mettere mano alla riforma Fornero, ci sarebbe bisogno di un chiarimento fondamentale.

 

Su che cosa?

A questo punto è necessario un chiarimento, una semplificazione delle regole sulla maturazione dei diritti alle prestazioni pensionistiche.

 

Ci spieghi meglio.

In questi anni si sono sovrapposte una serie di disposizioni di legge applicabili ai lavoratori che maturavano il diritto ad andare in pensione a una certa data, con determinati requisiti. Poi le esigenze finanziarie dello Stato hanno indotto a intervenire nuovamente prevedendo altri requisiti. Da questo punto di vista oggi è veramente complesso capire quando un lavoratore matura il diritto ad andare in pensione e a quali condizioni. Questo a mio parere non assicura la certezza del diritto e non aiuta i lavoratori.

 

Quali sono i pericoli?

Un sistema così è troppo frammentato, troppo spezzettato, ed eccessivamente legato alle contingenze della situazione economica che di volta in volta si presenta. Ma soprattutto manca di sistematicità. Non è solo un’esigenza giuridica, ma di buon funzionamento del sistema.

Leggi anche

RIFORMA PENSIONI/ Quota 96. Ghizzoni (Pd): "aggiustando" un errore aiuteremo la scuolaRIFORMA PENSIONI/ Damiano: 35 anni di contributi e 62 di età, ecco la vera flessibilità