«Il bonus sull’assunzione è un ottimo strumento per sostenere l’economia, ma soprattutto è un test sulla salute delle nostre imprese. Se un ampio numero di aziende decidesse di non beneficiare di questi incentivi, il dato sarebbe davvero preoccupante». Ad affermarlo è Pietro Antonio Varesi, professore di Diritto del lavoro all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Martedì l’Inps ha iniziato a raccogliere le domande per gli incentivi destinati alle imprese che assumono a tempo indeterminato giovani con meno di 30 anni, e nelle prime tre ore sono state già presentate 5.500 domande. Un risultato importante, se si pensa che dagli ultimi dati Istat la disoccupazione tra i 15 e i 24 anni è arrivata al 40%.



Professor Varesi, ritiene che il bonus assunzioni sia uno strumento efficace?

Lo strumento del bonus lavoro è in sé positivo, ma la questione è se il sistema delle imprese sia in grado di apprezzare questo tipo di incentivi. Un’azienda assume infatti innanzitutto se ha bisogno di manodopera. Il numero di domande per il bonus lavoro è una cartina di tornasole dello stato di salute dell’economia. Anche con il migliore incentivo, se le aziende non hanno bisogno di lavoratori continueranno a non assumere. L’abbassamento del costo del lavoro che l’incentivo determina è sufficiente a rendere appetibile l’assunzione dei lavoratori e a indurre le imprese a firmare nuovi contratti. Ogni nuova assunzione è una sfida al futuro, in quanto evidenzia la fiducia nelle prospettive della propria impresa.



Le 5.500 domande presentate all’Inps in tre ore sono un risultato soddisfacente?

È presto per dirlo. In un’economia più sviluppata di quella italiana, avremmo avuto il blocco del sistema informatico per i troppi accessi. Questo tipo di incentivi è un test sulla salute delle nostre imprese. Se assumono, significa che credono in una prospettiva di sviluppo della loro impresa. Se invece non dovessero beneficiare di questo fondo, allora sarebbe davvero preoccupante perché vorrebbe dire che nemmeno l’incentivazione è sufficiente a risollevare lo stato di crisi in cui versa l’economia italiana. Mi auguro quindi l’esaurimento delle disponibilità in tempi rapidissimi, prima ci arriveremo e maggiore sarà il successo dello strumento. Se così non fosse ci sarebbe davvero da preoccuparsi.



Come valuta il fatto che i due terzi dei fondi sono destinati al Mezzogiorno mentre la maggior parte delle richieste riguardano finora la Lombardia?

Il dato di partenza è che il mercato del lavoro nel Mezzogiorno è agonizzante. L’incentivo riserva una quota prevalente delle risorse al Sud proprio per cercare di venire incontro innanzitutto a quelle imprese che se la sentono di accettare la sfida di creare occupazione nel Meridione. Senza questa riserva destinata al Sud gli incentivi sarebbero invece utilizzati tutti dal Nord.

 

Secondo l’Istat, il 40% dei giovani tra i 15 e i 24 anni sono disoccupati. Lei come valuta questo dato?

In primo luogo, è un valore nazionale che maschera delle differenze molto profonde tra regione e regione. Si tratta inoltre di un dato gravissimo, che è cresciuto rapidamente negli ultimi anni passando dal 20% al 40%. È la conseguenza della crisi economica che stiamo vivendo dal 2008. A pagare la crisi sono state principalmente due categorie di persone: chi aveva un lavoro e l’ha perso e i giovani che non sono riusciti a entrare nel mercato del lavoro. Da un lato quindi c’è stata una fuoriuscita di ex occupati dal mondo del lavoro, dall’altra c’è stato il blocco all’ingresso nei confronti dei giovani. Questa è la reazione che la crisi ha provocato nel sistema delle imprese, portandole a liberarsi della manodopera in più attraverso cassa integrazione e licenziamenti e a rinunciare ad attuare nuove assunzioni.

 

(Pietro Vernizzi)