I venti di crisi, economica e politica, nell’ordine che preferite, sono tornati in queste due ultime settimane ad affacciarsi sul Bel Paese. Non che, nei mesi appena trascorsi, si potesse dire di essere al di fuori della crisi economica (in realtà qualcuno…) o al riparo da improvvisi rovesci politici, ma la sensazione complessiva è che il malessere italiano, profondo e strutturale, si fosse quantomeno stabilizzato. Che non significa guarigione, certo, ma se non altro un temperamento del bollettino di guerra quotidiano, fatto di cifre, dati, allarmi endogeni ed esogeni, sul logoramento dell’economia italiana. Questa relativa quiete, scossa qua e là dalle vicende giudiziarie di Berlusconi e da quelle (pre)congressuali del Pd, sembrava essere la condizione preliminare per alcuni interventi finalizzati al rilancio delle attività produttive.
Tra questi, si è tornati a parlare di taglio al cuneo fiscale. In realtà, i sostenitori di tale misura si aspettavano un intervento, o almeno una ritoccatina al ribasso, già con il primo decreto sul lavoro del governo Letta. Si sono dovuti accontentare della promessa di Giovannini che, nella sostanza, suonava “oggi non ci sono le coperture, domani probabilmente sì” e rimandava a settembre, come si faceva tra i banchi di scuola con latino e matematica, la riduzione del cuneo. Riduzione della quale non veniva specificata l’entità, ma se non altro appariva chiara la volontà politica del ministro: appena possibile, si farà.
Volontà politica ribadita (e calendarizzata) a inizio settembre, a margine del workshop Ambrosetti, in quel di Cernobbio. “Stiamo facendo delle simulazioni e stiamo verificando le varie ipotesi”. Insomma, per Giovannini il taglio del cuneo era in dirittura d’arrivo, con una proposta destinata a essere messa sul tavolo già a metà ottobre. Certo, una proposta compatibile con le ristrettezze di bilancio e, per questa ragione, orientata al gradualismo. Un taglio, in altri termini, pensato su più anni.
Non è dato sapere, oggi, se il provvedimento verrà presentato e con quali tempistiche. Possibile che il governo mantenga l’intento di presentare un taglio del cuneo a metà mese. Del resto, con la riconferma, Letta ha acquisito una maggioranza solida, e quel che più conta, ricompattata anche in vista di riforme a stretto giro. Non è però da escludersi che promettere di mettere mano al cuneo fiscale (materia che sta a cuore a molti) a ottobre volesse dire, a inizio settembre, provare a mettere al riparo il governo dai primi segnali di incertezza che già andavano, a giorni alterni, profilandosi all’orizzonte.
C’è anche una terza ipotesi, quella secondo la quale il governo vorrebbe procedere a una riduzione del cuneo, ma gli ultimi sviluppi politici ed economici, che hanno rimesso l’Italia al centro delle preoccupazioni di diversi osservatori internazionali, consigliano prudenza. Del resto il governo avrebbe voluto un rinvio trimestrale dell’aumento dell’Iva, ma non ha trovato le condizioni idonee.
Oggi il tema della riduzione del cuneo potrebbe trovarsi a camminare in equilibrio su un crinale sottile. E costringere l’esecutivo all’equilibrismo tra la situazione preoccupante dei conti e le garanzie internazionali, da un lato, e la galoppante disoccupazione (quella giovanile ha nel frattempo raggiunto e superato il 40%) unita alla progressiva perdita di competitività delle imprese italiane sui mercati esteri, dall’altro.
Quando si parla della crisi imprenditoriale non ci si può però limitare a considerare le imprese che non riescono a resistere, ma è forse opportuno constatare che dopo ormai tre anni di strenua resistenza anche chi è rimasto in piedi non investe più né in innovazione, né in sviluppo (e neppure in assunzioni). Per questa ragione il governo, oltre a pensare a una riduzione del cuneo suddivisa in un percorso pluriennale, quindi con un quantum limitato nell’immediato, dovrebbe approntare una riduzione significativa, anche solo temporanea, in quei settori che maggiormente risentono della crisi economica e che, al contempo, si possono considerare strategici per la ripresa. Così come dovrebbe pensare a una consistente riduzione del cuneo per chi assume giovani, e a una riduzione ancor più consistente per i giovani che fanno impresa in settori innovativi o innovando settori tradizionali.
Non si tratta di creare disparità, ma di operare alcune scelte di tipo economico, definendo delle priorità di intervento e, di conseguenza, di adottare delle politiche. Del resto anche l’Iva, della quale si è molto parlato nelle ultime settimane, com’è risaputo non è uguale per tutti i beni e servizi. Una differente aliquota, al 4%, è pensata per esempio per generi di prima necessità, per quotidiani, libri (ma per qualche artificio formalista non gli ebook), protesi dentarie e occhiali da vista. Anche elettricità, carne, pesce, strutture di interesse turistico hanno un’aliquota diversa, pari al 10%.
Questo per dire che, uscendo dalle secche del dibattito sul taglio del cuneo erga omnes, che trova larghi consensi sul principio e diversi ostacoli e distinguo nelle modalità, si potrebbero pensare tagli più verticali (e quindi con un impatto maggiore) e con un effetto più limitato sui conti pubblici. Una cosa certo non esclude l’altra, e anzi può esserne precondizione.
Solo che una si può fare (quasi) subito. E non è dato sapere, al netto del tiqui-taca politico di questa settimana, quanto l’Italia possa ancora aspettare.