«L’esistenza di un numero ingente di persone che con l’introduzione della legge Biagi hanno lavorato in modo discontinuo o precario per l’intero arco della loro vita professionale provocherà enormi problemi di welfare quando questi lavoratori andranno in pensione». Lo afferma Nicola Salerno, economista del Cerm (Centro Studi competitività e regolazione dei mercati). In questi giorni si stanno celebrando i dieci anni della legge Biagi. Per Salerno, «nessuna delle tre riforme che si sono susseguite, Dini Fornero e Biagi, ha affrontato il vero problema. L’unica soluzione ai problemi dell’occupazione in Italia può essere il taglio selettivo del cuneo fiscale per i lavoratori con meno di 30 anni».



Quali conseguenze provocherà la legge Biagi nel momento in cui i lavoratori atipici andranno in pensione?

La legge Biagi ha introdotto delle figure professionali che hanno avuto una carriera frammentata, discontinua, che sono entrate tardi sul mercato del lavoro e hanno lavorato per la maggior parte con contratti non da lavoro dipendente. Quello che potrebbe accadere quando queste persone si ritireranno dal lavoro è un’insufficienza dell’assegno pensionistico. Con le regole di calcolo della riforma Dini del 1995, la pensione sarà l’equivalente in rendita di quanto accumulato nel corso della carriera.



E quindi?

In un sistema come quello italiano, raccordato male con il mercato del lavoro, la conseguenza sarà il fatto di avere pensioni basse. Ciò vorrà dire non soltanto che ci saranno 65enni e 70enni in difficoltà, ma comporterà anche ingenti problemi per la finanza pubblica.

Da un punto di vista sociale ciò che cosa comporterà?

Pensioni basse ed età avanzata creeranno pressione sugli altri istituti del welfare in termini di integrazione al minimo, assistenza sanitaria per le non autosufficienze, accesso alla casa. Se dovessero permanere condizioni di difficoltà sul mercato del lavoro nei prossimi anni, quei problemi sul fronte pensionistico che pensavamo di avere definitivamente accantonato con il passaggio a regime della riforma Dini si ripresenteranno sotto altre vesti.



Per quali motivi le riforme di lavoro e pensioni dell’ex ministro Fornero non hanno risolto questi problemi?

Non è sufficiente innalzare l’aliquota di contribuzione sui contratti cosiddetti atipici. Se manca la domanda di lavoro e non c’è occupazione vera, il problema dei diritti pensionistici che non si sono accumulati nel corso di una carriera di durata normale continueranno a sussistere. Sulle figure atipiche si sta commettendo un errore, andando nella direzione esattamente opposta. Il problema non è adeguare l’aliquota di contribuzione delle figure atipiche al livello molto alto del lavoro ordinario. La priorità deve essere abbassare questa aliquota obbligatoria e quindi il cuneo sul lavoro, per creare condizioni di occupabilità da subito.

 

Secondo lei, quali sono stati pregi e difetti della legge Biagi?

Il motivo per cui Marco Biagi pensò di introdurre queste figure atipiche era quello di attivare, a lato del lavoro normale, un canale di ingresso assoggettato a oneri contributivi più bassi e quindi con un più facile incontro tra domanda e offerta. Sin dal giorno dopo dell’introduzione della legge Biagi l’aliquota di contribuzione di queste figure ha incominciato ad aumentare per problemi di finanza pubblica, ripresentando così il problema di partenza.

 

Qual è quindi la soluzione?

La soluzione consiste in una riforma complessiva del lavoro che riguardi tutti, e che modifichi il parametro che negli ultimi anni ha inciso di più sulla produttività e sull’occupazione. Mi riferisco all’aliquota di contribuzione obbligatoria alle pensioni, pari al 33%, da cui dipende la maggior parte del cuneo fiscale. Contribuire così tanto alle pensioni significa che possano andare meno risorse ad altri istituti del welfare, tra cui proprio gli istituti per fare funzionare bene il mercato del lavoro, per promuovere l’occupazione e gli stessi ammortizzatori sociali.

 

In che modo è possibile ridurre la contribuzione alle pensioni senza creare un buco nel bilancio dello Stato?

L’unica via percorribile è una riduzione selettiva dell’aliquota di contribuzione soltanto con riferimento all’età, come primo passo di una riduzione permanente per tutti dell’aliquota obbligatoria. A seconda delle risorse disponibili si può individuare la riduzione della contribuzione per chi ha meno di 35 anni, o anche meno di 30.

 

(Pietro Vernizzi)