Se Mastrapasqua non è tranquillo, neanche noi lo siamo; il presidente dell’Inps, l’istituto che eroga le pensioni a milioni di italiani, in un’audizione alla Commissione bicamerale di controllo ha spiegato di aver fatto presente al governo, tramite una lettera, che il disavanzo patrimoniale ed economico dell’istituto può dare segnali di non totale tranquillità, anche se non ci sono rischi circa l’erogazione delle pension. Mastrapasqua ha precisato, inoltre, come lo squilibrio sia «imputabile essenzialmente al deficit ex Inpdap, alla forte contrazione dei contributi per blocco del turnover del pubblico impiego e al continuo aumento delle uscite per prestazioni istituzionali». Alberto Brambilla, esperto di previdenza ed ex sottosegretario al Welfare dal 2001 al 2005, ci spiega come stanno le cose.



Cosa ne pensa dell’allarme di Mastrapasqua?

Il buco, effettivamente c’è, e deriva proprio – prevalentemente – dall’aver assorbito l’Inpdap. Non dimentichiamo che il sistema, in ogni caso, è aggravato da una serie di fardelli e anomalie; lo Stato, per esempio, spende per le prestazioni di natura assistenziale circa 34 miliardi di euro all’anno, all’interno dei quali figurano le maggiorazioni delle pensioni dei lavoratori agricoli, degli artigiani, dei commercianti, dei cassintegrati e, più in generale, di tutte quelle categorie che, non avendo mai versato i contribuiti o avendone versato solo parte, hanno bisogno di tale maggiorazione assistenziale; l’Inpdap, inoltre, aveva a sua volta assorbito l’Enpals, che gli aveva portato in dote un passivo enorme.



Mastrapasqua ha sottolineato come la situazione sia ulteriormente aggravata dal blocco del turn over.

È vero. Ogni anno 30-40 mila dipendenti dello Stato non vengono rinnovati. Il rapporto tra contributori e pensionati, così, si deteriora. Anche questo aumenterà il deficit annuale di bilancio dell’Inps. A tutto ciò, si aggiungono i danni provocati dalla riforma Fornero.

Ci spieghi meglio.

Gli esodati, anzitutto. Si tratta di 340mila persone a cui in parte è stata versata e in parte dovremmo versare di anno in anno (salvaguardandoli) la pensione. Come se non bastasse, la nuova disciplina, indicizzando l’anzianità contributiva alla speranza di vita, ha fatto sì che chi ha 62 anni di età e 41 di contributi sia obbligato a lavorare almeno altri due anni per arrivare a 43 di contributi. In nessun Paese europeo è necessario lavorare più di 41 anni per poter accedere al trattamento previdenziale. Andrà a finire che ci sarà qualcuno che si rivolgerà alla Corte costituzionale facendo presente la disparità di trattamento rispetto a chi ha iniziato a lavorare prima. Anche in quel caso, bisognerà pagare.



Si tratta di cifre preoccupanti?

Sì. Ma non tanto per il buco in sé, quanto perché negli ultimi due-tre anni la disoccupazione è esplosa e abbiamo perso più di due milioni di lavoratori da sostenere con gli ammortizzatori sociali. Anch’essi rappresentano un costo notevolissimo per le casse dell’Inps. Ai 12 miliardi di buco provenienti dalla gestione ex Inpdap, quindi, si potrebbero aggiungere, approssimativamente, altri 12 miliardi.

 

Nell’ambito della legge di stabilità si sarebbe potuto modificare sensibilmente la riforma Fornero?

I “malati” che soffrono sono moltissimi. Occorre, quindi, concentrasi sulle “acuzie”. C’è chi, per gli effetti della riforma Fornero si trova costretto a lavorare anche sei anni in più del previsto prima di poter andare in pensione, ma almeno ha un lavoro a tempo indeterminato; c’è chi ha un lavoro, ma il proprio datore gli ha lasciato intendere che nell’arco di uno o due anni lo lascerà casa; e c’è, infine, chi non ha un lavoro e dovrà tirare avanti ancora per molto senza un reddito. Al governo, considerando la scarsità di risorse, non resta che concentrarsi su questi ultimi; sarebbe stato opportuno, inoltre, fissare a 41 anni l’anzianità contributiva, a prescindere da quella anagrafica, e fissare a 64 anni quella anagrafica (fermo restando i 41 anni di contributi), garantendo a chi vuole posticipare l’uscita una maggiorazione del proprio assegno previdenziale. Tuttavia, se Saccomanni continua a sostenere che mancano le risorse, c’è poco da fare, i margini di manovra sono decisamente limitati.  

 

(Paolo Nessi)