Strano Paese, il nostro. Pieno di paradossi e di contraddizioni. Da un lato il decreto Carrozza, appena convertito in legge, dà una spinta al “valore lavoro”, dall’altro, con la bozza di Dpcm oggi in discussione, sulla riorganizzazione del Miur, prevista dalla spending review, viene cancellata la cabina di regia di questo nuovo valore orientante, cioè della direzione generale dedita all’istruzione e formazione tecnica superiore, di quel raccordo tra scuola e lavoro che è la vera chiave di volta più volte annunciata, evidentemente solo a parole, dallo stesso ministro Carrozza. Una cabina di regia che scomparirebbe in tre nuove macro-direzioni generali.



Perché la vera novità del decreto Carrozza, lo possiamo dire, è l’art. 14, che prevede l’introduzione del cosiddetto Erasmus in azienda. È un vero ponte, quello che ha gettato il ministro, tra il mondo della formazione e quello del lavoro. Ponte non scontato, non facile da pensarsi, sino a poche settimane fa, per il permanere, al sottofondo della nostra sensibilità sociale, di un pregiudizio figlio della cultura del ‘68, legato all’idea della netta separazione tra formazione e lavoro, quasi un presagio a una società senza lavoro, ben presente nel dibattito degli anni Novanta, oggi totalmente superato.



Questo sottofondo, però, di tanto in tanto continua a fare capolino. Penso qui, come esempio, a un giornale che ha sempre fatto della costruzione di questo ponte la propria bandiera. Parlo de Il Sole 24 Ore e, in particolare, di un pezzo uscito, a firma di Giampiero Falasca, lo scorso 5 novembre, sull’apprendistato. Il tema riguardava la presenza, seppur in frammenti, del raccordo tra scuola e lavoro nel Decreto Carrozza appena convertito in legge dal Senato.

Si tratta di norme innovative per il conservatorismo tutto italiano, che riguardano l’apprendistato a scuola e all’università, e un’idea di orientamento in itinere che dovrebbe diventare il filo conduttore dell’offerta formativa, non più chiusa nella propria autoreferenza, com’è purtroppo ancora oggi. Innovazioni sinora contrastate a livello ministeriale. Perché i nostri ministeriali, nei vari dicasteri, continuano a considerare l’apprendistato, da un lato, solo nei termini di un contratto di lavoro sotto la stretta egida delle regioni, e l’orientamento, dall’altro, un puro esercizio di buona volontà, senza reale incidenza culturale. Mentre non hanno ancora capito che, come avviene in Germania, l’apprendistato e l’orientamento sul campo devono entrare come parte strutturale, cioè in tutta la filiera, del nostro sistema formativo. Non una mera appendice.



È la conferma di come i vizi del ‘68 continuino a dominare tra i nostri decisori amministrativi, i veri detentori del potere politico, per la centralità dei decreti applicativi (il decreto Carrozza ne prevede ben 29, alcuni con indicato un termine di scadenza, altri senza alcun termine) rispetto alle leggi generali: parlo, in questo caso, dell’idea che il lavoro sia altro dal mondo della formazione, cioè della vita della scuola e dell’università.

Falasca, nel suo pezzo, non ha fatto altro che dare voce alle posizioni ministeriali, arrivando, addirittura, a paventare una qualche incostituzionalità delle norme in approvazione. Possibile che nessuno si chieda, al di là delle solite retoriche, perché in Germania la disoccupazione giovanile sia al 7%, mentre da noi è oltre il 40%? Non solo, in Italia l’apprendistato coinvolge solo il 3% dei nostri giovani, mentre in Germania si arriva al 33%.

Senza un cambio di prospettiva è difficile immaginare cos’è possibile fare, per dare una mano concreta ai nostri ragazzi, e quindi al nostro sistema Paese. Le nostre imprese, perciò, vanno aiutate a superare gli ostacoli, i vincoli, i limiti che impediscono un largo utilizzo di questo strumento di inserimento dei nostri giovani, ai vari livelli formativi, nel mondo del lavoro. Perché è tutto il mondo del lavoro che è formativo in se stesso.

Lo stesso Sole 24 Ore ha offerto interventi di altro sapore. Penso qui ai pezzi firmati da Claudio Tucci e da Eugenio Bruno il 1° novembre, un nuovo pezzo di Bruno dell’8 novembre, e, soprattutto, due belle paginate di domenica 9 novembre a firma di Bruno e Tucci e una di Falasca. Coerenza di lettura confermata anche nei giorni successivi. Quello di Falasca del 9 novembre, intitolato “Il lavoro vale per la laurea”, corregge il tiro, rispetto al pezzo del 5 novembre. Riflessioni che noi ritroviamo nei pezzi di Dario Odifreddi, apparsi su queste pagine il 22 agosto, il 13 e il 16 ottobre.

Richiamare a viva voce il valore dell’istituto dell’apprendistato da considerare come il canale privilegiato per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, lungo tutta la filiera formativa, è davvero dare una mano alle giovani generazioni. Oltre i soliti slogan, per lo più di facciata.