La Corte costituzionale ha rimandato una decisione su un aspetto relativo alla riforma delle pensioni firmata da Elsa Fornero che ha scatenato malumori nel mondo della scuola. Il testo originale della riforma prevedeva che potesse andare in pensione con i vecchi criteri chiunque avesse maturato l’anzianità o la vecchiaia necessarie entro il 31 agosto 2012. Il termine è stato però modificato nel documento definitivo, anticipandolo al 31 dicembre 2011. La conseguenza è che circa 4mila docenti, che avrebbero potuto ritirarsi dal lavoro, sono stati costretti a rinviare il pensionamento. Per Luca Spataro, professore di Economia politica all’Università degli Studi di Pisa, «quando si attuano delle riforme, si verificano sempre delle situazioni transitorie come questa, in cui i diritti ritenuti acquisiti da chi era sotto le norme precedenti vengono meno».
Professor Spataro, lei che cosa ne pensa del ricorso relativo alla costituzionalità della legge Fornero?
Non sono un costituzionalista, ma in Italia abbiamo avuto per tanto tempo l’abitudine di rimandare le riforme previdenziali. Tanto la riforma Amato quanto quella Dini hanno introdotto regole diverse a seconda degli anni di contribuzione, pari rispettivamente a 15 e 18 anni. Aver condizionato l’applicazione delle riforme in base all’anzianità contributiva ha comportato delle sperequazioni molto forti a livello generazionale.
Quali sono state le conseguenze?
L’onere di queste riforme è stato pagato e verrà pagato soprattutto dalle coorti di lavoratori più giovani. Ciò sicuramente è stata una scelta discutibile dal punto di vista dell’equità generazionale. Abbiamo dovuto attendere il 2011 per attuare l’ennesima riforma, che porta il nome di Elsa Fornero, che ha ripianato parzialmente queste iniquità prevedendo il sistema pro rata per tutti i lavoratori. Abbiamo dovuto aspettare cioè più di 15 anni per vedere ripristinato questo principio di equità tra generazioni.
Nel frattempo che cosa è avvenuto?
In tutti questi anni i diritti maturati e le pensioni erogate sono state molto più elevate di quelle di cui beneficeranno i lavoratori che andranno in pensione con il regime contributivo. Le conseguenze sono due: c’è stato un eccesso di spesa e abbiamo prodotto un’iniquità intergenerazionale. Ora si sta cercando di porre un ulteriore freno alla spesa previdenziale tassando le pensioni oltre i 90mila euro.
Lei come valuta quest’ultima proposta?
Vedremo nelle prossime settimane se cadranno le eccezioni di costituzionalità che erano state segnalate dalla Corte costituzionale quando il legislatore aveva previsto il contributo di solidarietà. Si tratta di capire se sarà trovata una forma per ridistribuire questo eccesso di spesa previdenziale destinandolo ai giovani. Sarebbe un segnale di attenzione per i giovani se questi risparmi di spesa fossero dedicati alla riduzione del costo del lavoro per i nuovi assunti.
Come valuta il modo in cui i sindacati hanno preso posizione nei confronti di questa delicata questione intergenerazionale?
Negli anni ’90 si sono avute delle grandi resistenze che ancora stiamo pagando sotto forma di un eccesso di spesa. Quell’atteggiamento di muro contro muro che vi fu nella prima metà degli anni ’90 frenò molto la capacità di queste riforme di produrre dei risparmi. Un atteggiamento che per fortuna ora mi sembra un po’ venuto meno. D’altra parte la riforma Fornero fu attuata con molta fretta e i sindacati sono stati spiazzati. Oggi come oggi modificare la legge Fornero sarebbe esiziale per i nostri conti. Il vero terreno di verifica di questa capacità da parte dei sindacati di accettare le riforme sarà il tema di una riforma organica del mercato del lavoro, che è stata soltanto accennata dal governo precedente. Occorre andare verso la flexsecurity, ed è questo che sarà il vero terreno di un ammodernamento dei sindacati italiani.
(Pietro Vernizzi)