Lo scivolo d’oro previsto per i militari italiani sta assumendo il sapore della beffa. Specie se si considerano i sacrifici a cui, a livello previdenziale, sono state sottoposte tutte le altre categorie. I decreti attuativi della legge delega 244 del 2012 (“per la revisione dello strumento militare nazionale”) curati dall’allora ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, prevedono che i militari, al compimento dei 50 anni, possano congedarsi con 10 anni di anticipo, continuando a percepire l’85% del loro stipendio, una pensione piena al raggiungimento dei requisiti, e che possano intanto svolgere altri lavori senza che i loro redditi vengano decurtati. Nel frattempo, si apprende che, per gli effetti del tragico andamento del Pil, gli istituti di previdenza rischiano gravi problemi di bilancio; come se non bastasse, il sistema contributivo introdotto dalla legge Fornero fa sì che gran parte dei giovani (che, attualmente, versano in condizioni di precariato, non godono dei contributi, o si trovano costretti a periodi di disoccupazione in cui non possono versarli) abbia una prospettiva pensionistica piuttosto incerta. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Maurizio Del Conte, docente di Diritto del Lavoro presso l’Università Bocconi di Milano.  



Anzitutto, cosa ne pensa dello scivolo d’oro per i militari?

Si tratta di un trattamento unico che conferma come, in Italia, non si riesca a ragionare in virtù di criteri generali, quanto piuttosto per interessi di categoria. Evidentemente, il potere di negoziazione dell’allora ministro della Difesa era piuttosto elevato. In ogni caso, la misura è in controtendenza con la linea di tutte le riforme sin qui varate. Nessuna categoria vanta tali privilegi; al contrario, i problemi degli esodati ancora non sono stati risolti, e non è stato introdotto un principio di gradualità nell’innalzamento dell’età pensionabile.



L’eccezione potrebbe spiegarsi con il fatto che il militare è un lavoro usurante?

Non direi. Ci sono molti lavori decisamente più usuranti. Tanto più che, normalmente, si arriva a fine carriera con il grado di ufficiale. E la vita degli ufficiali non si può di certo definire usurante. Neanche il fatto che alcuni di questi militari hanno partecipato a delle missioni internazionali è una ragione valida: in missione si va su base volontaria e si viene profumatamente remunerati.

L’obiettivo di fondo della legge consiste nel sfoltire il personale e riorganizzare le risorse disponibili.

Sì, ma, evidentemente, non è stato prodotto alcun risparmio. Per pagargli l’85% dello stipendio senza che facciano nulla, tanto valeva lasciarli lavorare.  



Nel frattempo, l’andamento negativo del Pil mette a rischio la sostenibilità finanziaria degli istituti previdenziali.

Registriamo, purtroppo, nei conti dell’Inps degli ultimi 15 anni il fatto che di volta in volta si fissano degli obiettivi di bilancio che non vengono raggiunti; quando questo accade, si alza l’età pensionabile, misura che equivale a sospendere i pagamenti. In aggiunta, si congelano gli aumenti retributivi. Questa tendenza non lascia presagire nulla di buono, anche perché non si vede all’orizzonte una pianificazione che sia sufficientemente a lungo termine e che guardi al ciclo lavorativo dell’attualepopolazione.

 

Sarebbe il caso di pensare seriamente a forme di previdenza privata complementare?

Indubbiamente. Prima, tuttavia, occorrerebbe ridurre il carico contributivo. Le forme volontarie di previdenza non decollano perché non si può aggiungere al costo che già ciascuno di noi paga in termini di versamenti contributivi un ulteriore versamento. In particolare, un giovane che guadagna, magari, poco più di mille euro al mese, non può permettersi una spesa che incida anche solo del 10% sul suo stipendio. Sarebbe, inoltre, ragionevole ridurre le aliquote della contribuzione privata. Nell’immediato, si  produrrebbe una riduzione delle entrate; tuttavia, sul lungo periodo, rappresenterebbe un investimento perché l’aumento delle assicurazioni previdenziali private si tradurrebbe in un significativo ampliamento della base imponibile. 

 

(Paolo Nessi)