“Un imprenditore assume un giovane se gli serve, cioè se ha lavoro. Ma se per fare questo supera la soglia dei 15 dipendenti e finisce sotto i vincoli dello Statuto dei lavoratori in materia di rapporti sindacali e licenziamenti ci pensa due volte, perché uno con 16 dipendenti non è mica la Fiat”. Questa affermazione di Paolo Agnelli, 62 anni, bergamasco, re dell’alluminio in Italia e Presidente di Confimi, associazione delle piccole imprese, su Il Corriere della Sera di domenica 3 novembre, ci porta immediatamente al cuore dei nostri problemi: da un lato, la recessione durissima che l’Italia sta affrontando dalla seconda metà del 2008, con la conseguente crescita inarrestabile del tasso di disoccupazione; dall’altro, lo Statuto dei Lavoratori, con tutta la rigidità in uscita posta a carico delle aziende che superano i 15 dipendenti (una delle cause, se non forse la principale, del nostro nanismo imprenditoriale).
Che fare allora per invertire la rotta? Proviamo a suggerire delle proposte di riforma, la maggior parte a costo zero, che potrebbero dare una scossa reale alla situazione comatosa in cui versiamo.
1) Flessibilità in uscita: per ridare centralità al contratto a tempo indeterminato dobbiamo guardare alle riforme effettuate dai “cugini” spagnoli e prendere esempio da loro. Che infatti hanno ripreso a crescere più velocemente di noi e contemporaneamente a ridurre l’elevato stock raggiunto dalla disoccupazione. Come hanno fatto? Hanno liberalizzato i licenziamenti individuali, introducendo il “severance cost”, cioè il costo del licenziamento stabilito per legge (ad esempio: una mensilità per ogni anno di anzianità aziendale). Con esclusione di quelli discriminatori, ovviamente. E con l’obbligo a carico delle imprese che licenziano di offrire il servizio di supporto alla ricollocazione (outplacement) ai lavoratori esodati. Questa riforma avrebbe il vantaggio non solo di far aumentare immediatamente le assunzioni a tempo indeterminato, come ci dimostra il caso spagnolo, ma anche quello di far aumentare la dimensione media delle aziende, dato cruciale per accrescere sia gli investimenti in ricerca e sviluppo, sia la capacità di esportare. Oltre ad attrarre gli investimenti diretti esteri, in cui siamo tra gli ultimi in Europa.
2) Flessibilità in entrata: occorre puntare decisamente sul contratto di somministrazione di lavoro tramite agenzia, per il suo alto contenuto di elementi di flexicurity (legame del lavoratore con l’Apl, formazione, prestazioni sociali). Ad esempio, eliminando l’obbligo di indicare nei contratti la causale giustificatrice del suo utilizzo e facendo transitare su di esso tutte le necessità di personale di durata inferiore ai 3 mesi. Laddove il contratto a termine andrebbe invece indirizzato a casi specifici di necessità temporalmente più significative, quali i periodi di prova, le sostituzioni per malattie lunghe e le maternità, le stagionalità e i progetti aziendali.
3) Apprendistato professionalizzante: occorre renderlo davvero competitivo con gli stage e maggiormente fruibile dalle imprese. Innanzitutto rivedendone la progressione economica dello stipendio (partendo da un minimo del 25% il primo anno, passando al 50% il secondo, al 75% il terzo, per arrivare al 100% al quarto anno, quello della stabilizzazione). Poi azzerando i contributi sociali per tutti i 4 anni. E rendendo possibile il recesso in qualsiasi momento, dietro pagamento del severance cost, definito per legge. Sapendo che le percentuali di stabilizzazione da rispettare, introdotti dalla Riforma Fornero, aiuteranno a evitare gli abusi.
4) Servizi al lavoro: oltre all’auspicata introduzione del servizio di ricollocazione obbligatorio a carico delle imprese che dovessero licenziare propri dipendenti, dal 2014, con il voucher della garanzia giovani operante, chi si trovasse nella situazione di gestire un’interruzione non voluta del percorso di apprendistato, avrebbe subito un servizio di presa in carico e di reinserimento nel mercato del lavoro da parte delle agenzie per il lavoro. L’adozione di 2 misure (outplacement obbligatorio in cambio della liberalizzazione dei licenziamenti individuali e garanzia giovani) introdurrebbero nel Paese quel sistema di politiche attive del lavoro ormai non più rimandabile, fondamentale per affrontare le sfide che abbiamo di fronte.
Solo se accompagnati da queste riforme radicali gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato di giovani, stanziati dal Governo Letta, potranno fruttare veramente!