«Tra Renzi e Landini c’è un sentimento di reciproco rispetto in quanto entrambi vedono nell’altro un leader eletto attraverso procedure trasparenti e democratiche, ma ciò non vuol dire che sui temi del lavoro le loro posizioni siano vicine». Lo afferma Giorgio Airaudo, ex membro della segreteria nazionale Fiom e attualmente deputato di Sel, secondo cui «le proposte che mirano a svuotare ulteriormente quel simulacro di articolo 18 rimasto in piedi dopo la legge Fornero devono essere respinte, a prescindere dal fatto che chi le formula sia o meno simpatico» come può essere Renzi. In questi giorni si è parlato molto delle prove d’intesa tra il neo segretario del Pd e il capo della Fiom, i quali giovedì hanno inaugurato insieme una mostra nella Biblioteca delle Oblate di Firenze.



Onorevole Airaudo, che cosa c’è dietro la simpatia reciproca tra Renzi e Landini?

Dietro la simpatia reciproca c’è la consapevolezza dell’autonomia dei rispettivi ruoli. Landini fa bene a sottoporre a verifica i suoi interlocutori anche politici, e in particolare Renzi che è il segretario di un partito importante che partecipa al governo di questo Paese. I lavoratori che rappresenta Landini stanno soffrendo da anni la crisi e le politiche del governo Letta non sono assolutamente soddisfacenti e sufficienti per il mondo che rappresenta la Fiom.



Che cosa si aspetta la Fiom da parte di Renzi?

Verificheremo se Renzi proporrà una svolta rispetto alle politiche del Pd e del governo sui temi del lavoro, della rappresentanza e dei diritti dei lavoratori. Ma ciò non vuol dire che Renzi e Landini vadano d’accordo o si stiano simpatici. Peraltro da quel che so non mi risulta neanche che i due si conoscano personalmente. Piuttosto, Renzi ha detto più volte che riconosce nella Fiom un sindacato autentico, rappresentativo e fatto di eletti e non di nominati. Landini d’altra parte riconosce a Renzi di avere vinto le primarie in modo trasparente.



Che cosa ne pensa Landini della proposta di Renzi di introdurre un contratto di lavoro indeterminato flessibile, sostituendo il reintegro con un indennizzo per i neo-assunti?

L’abolizione dell’articolo 18 è stato un falso ideologico. Si è detto che lo si cancellava per attrarre gli investimenti e io non conosco una sola impresa che sia arrivata in Italia dopo che la legge Fornero ha modificato la normativa in merito al reintegro. Il vero tema è come ricostituire una garanzia universale in capo ai lavoratori. Anche perché se parliamo di articolo 18 la vicenda è già superata. Oggi l’articolo 18 non c’è più, ne resta solo un simulacro.

 

La rigidità del lavoro non è un problema?

Le imprese non assumono perché non ci sono domanda e mercato. Il mio auspicio è che Renzi sia in grado di andare oltre le vecchie ricette del blairismo. Il vero problema è che l’eccesso di tassazione e i bassi salari hanno depresso i consumi. Negli ultimi 20 anni i salari non sono cresciuti in proporzione alla rendita, in quanto quest’ultima si è mangiata pezzi di ricchezza del Paese. I dati Istat documentano che una famiglia con un reddito di 1.300 euro al mese è sotto la soglia di povertà, e io le posso dire che ci sono moltissime famiglie di lavoratori dipendenti che faticano ad arrivare a quella cifra.

 

Il potere d’acquisto delle famiglie italiane si può rilanciare con una riforma del mercato del lavoro?

No. Tutte le ricette di riforma del mercato del lavoro sono già state sperimentate, ma gli unici risultati sono stati quelli di comprimere i diritti senza migliorare il mercato occupazionale. Il vero tema deve essere quello di creare nuovi posti di lavoro. La soluzione può essere solo un intervento pubblico straordinario che preveda anche un piano per il lavoro. Per aggredire la disoccupazione, anche lo Stato diventa datore di lavoro di ultima istanza. Il settore pubblico si fa carico di far ripartire il lavoro riattivando alcune nuove produzioni. Mi riferisco alla tutela del patrimonio idrogeologico, alla ristrutturazione del patrimonio pubblico, alla messa in sicurezza e a risparmio energetico di tutti gli edifici pubblici. Senza un “New Deal” italiano non riusciremo ad aggredire una disoccupazione di questi numeri, e non ci sarà nessun investitore privato che arriverà nel nostro Paese creando un milione di nuovi posti di lavoro.

 

(Pietro Vernizzi)

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