Circa un mese fa, una petizione online con oltre 10mila firme è stata consegnata a Martin Ehrenhauser dai membri della coalizione ALTER-EU (Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation); essa invita i deputati europei a lavorare per la trasparenza delle lobbies, attraverso il passaggio a un registro obbligatorio. Il gruppo di revisione del registro per la trasparenza comprende deputati europei, come lo stesso Martin Ehrenhauser, nonché il commissario alle Relazioni Istituzionali Maroš Šefcovic, che – proprio in quei giorni – si incontrava con il Vice Presidente del Parlamento per le questioni di trasparenza, il discusso Rainer Wieland. La petizione è stata formalmente indirizzata a Rainer Wieland, anche se quest’ultimo ha rifiutato di accettarla.



Secondo Olivier Hoedeman (Corporate Europe Observatory), che ha presentato la petizione a nome della coalizione ALTER-EU, “molti lobbisti aggirano il sistema del registro volontario delle lobbies nell’Ue. Tra loro ci sono alcune delle più grandi multinazionali del mondo, così come praticamente tutti gli studi legali che fanno lobbying per conto dei clienti del settore. Questi lobbisti traggono benefici facendo lobbying al buio; è troppo, è il momento di lavorare per un registro obbligatorio delle lobbies”.



In Italia l’attività di lobbying e la rappresentanza degli interessi organizzati non hanno mai ottenuto riconoscimento e regolamentazione; da una parte per una diffusa percezione dell’attività lobbistica come attività di corruzione/concussione dei decisori pubblici, dall’altra per la volontà delle stesse organizzazioni più influenti – ma portatrici di interessi particolari – di non voler “misurare” la loro forza, preferendo agire al buio piuttosto che alla luce del sole, tanto per usare una metafora che lo stesso Hoedeman apprezzerebbe.

Sono stati già fatti dei tentativi nell’ottica della trasparenza, e lo stesso governo Letta ha affidato a un gruppo di lavoro la redazione di un disegno di legge, dopo aver condiviso nel Consiglio dei Ministri del 24 maggio 2013 una nota informativa su come procedere a regolamentare le lobbies. Il Consiglio dei Ministri del 5 luglio 2013 ha esaminato il provvedimento rinviando il testo per ulteriori approfondimenti comparati.



Nonostante la carenza di una regolamentazione nazionale, alcune regioni hanno approvato delle leggi regionali in materia di disciplina dei gruppi di pressione (Toscana, Molise, Abruzzo), mentre altre regioni si preparano a legiferare in materia (Calabria, Marche, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia).

Nella bozza del ddl Letta rinviato per approfondimenti, viene affidato un ruolo chiave al Cnel (Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro), che dovrebbe gestire il Registro delle lobbies e vigilare sul rispetto del Codice di comportamento. Il Registro ha il fine di garantire la massima trasparenza circa l’identità del lobbista, il soggetto rappresentato, il destinatario della sua attività di promozione degli interessi e le risorse economiche che sostengono la sua attività. Agli iscritti sarebbe garantito il diritto di accesso alle sedi istituzionali, oltre all’utilizzo di una banca dati che contiene gli schemi dei provvedimenti normativi e regolamentari in corso di predisposizione da parte dei decisori pubblici, corredati da diverse informazioni quali: il referente nell’ambito dell’istituzione di riferimento con indicazione del suo indirizzo di posta elettronica; le finalità del provvedimento e i contenuti di massima dello stesso; i tempi presumibili per l’avvio dell’iter approvativo; gli sviluppi nel tempo del provvedimento.

Ciò detto, tutti sanno cosa c’è da fare, ma sono in molti a non volere il registro per la trasparenza delle lobbies. Meno di due mesi fa, il leader di un’organizzazione sindacale ha detto a un convegno pubblico: “Voglio che la mia organizzazione sia riconosciuta per il numero dei suoi iscritti e non in funzione delle mie capacità di manovra”. Considerando che Pietro Ichino e Michele Tiraboschi stanno lavorando a un progetto condiviso di semplificazione della legislazione del lavoro, chi scrive pensa ci sia qualcosa nella loro proposta che va nella direzione sussidiaria di un maggior peso delle Parti sociali nella regolazione del mercato del lavoro, punto sul quale Tiraboschi soprattutto – ma anche una parte del mondo sindacale – è stato piuttosto critico con Elsa Fornero, additando la sua riforma come un punto d’arresto rispetto alla legge “Biagi”. È piuttosto presumibile che il progetto di Ichino e Tiraboschi incontrerà un buon consenso del mondo politico e che vi possano facilmente convergere larghe intese.

Come sostiene Lorenzo Montanari, il primo italiano specializzatosi in political management e inlobbying presso la George Washington University, in Italia non ci potrà essere alcuna riforma sussidiaria senza un’adeguata regolamentazione della rappresentanza degli interessi specifici. Il sindacato, come del resto un’associazione datoriale, in quanto portatore di un interesse particolare è certamente una lobby. Solo grazie a una legge sulla trasparenza dell’attività lobbistica il sistema politico economico e sociale italiano sarà non solo in grado di riformare il processo decisionale contro l’attuale sistema centralista e clientelare, ma anche di facilitare e legalizzare i canali di comunicazione e di negoziazione tra la sfera privata (per esempio imprese, associazioni, sindacati) e le istituzioni pubbliche.

Come si può, infatti, dare maggior raggio d’azione ai corpi intermedi se il loro agire non è regolato? Al di là delle relazioni industriali, come si può dare più spazio ai corpi intermedi con il vuoto regolatorio della mancanza di un registro delle lobbies? In realtà, sono in molti a “sostenere” che in Italia si può e, quindi ad esempio, a legittimare che un’organizzazione con meno iscritti prevalga per sue “abilità” su un’altra che ne ha di più. Ma, parafrasando una battuta cara a Giulio Tremonti, non sono i numeri a fare politica?

 

In collaborazione con www.think-in.it

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