Come promesso, ai pensionati è stato dato un contentino. La legge di stabilità ha sbloccato l’indicizzazione all’inflazione degli assegni previdenziali. Non di tutti, però. Solamente quelli fino a tre volte il minimo (1.486 euro) godranno dell’indicizzazione piena. Quelli compresi tra tre e quattro volte il minimo (1.486 -1.982 euro) saranno rivalutati al 95% dell’indice; tra quattro e cinque volte (da 1.982 a 2.478 euro) la rivalutazione sarà del 75%; tra cinque e sei volte il minimo infine (da 1.982 a 2.478 euro) corrisponderà al 50%. Per le pensioni oltre sei volte il minimo, inizialmente, non era prevista alcuna rivalutazione. Si è pensato, all’ultimo, di inserire un emendamento che garantisse una maggiorazione di almeno 14,70 euro, onde evitare che la Consulta dichiarasse incostituzionale la norma per l’assenza di perequazione. Contestualmente, torna il prelievo di solidarietà sulle pensioni d’oro. Sarà del 6% per gli assegni compresi tra 14 e 20 volte il minimo (da 90.168 euro anni a 128.811), del 12% per quelli fino a 193mila euro e del 18% per gli importi ancora superiori. Questa volta, la Corte non dovrebbe porre obiezioni, come già ha fatto in passato. I proventi del prelievo una tantum, infatti, dovrebbe servire a finanziare un sussidio per la fasce meno abbienti. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Luca Spataro, docente di Economia Politica presso l’Università degli Studi di Pisa.
Come giudica le decisione di sbloccare l’indicizzazione all’inflazione di parte delle pensioni?
Mantenere anche per gli anni successivi il blocco completo dell’indicizzazione avrebbe significato colpire ancora una volta i pensionati. Evidentemente, l’ipotesi di recuperare risorse tagliando nuovamente i loro assegni è stata ritenuta del tutto impraticabile. Negli ultimi tempi, infatti, sono stati notevolmente penalizzati. Il che, peraltro, ha sortito effetti negativi sul sistema economico.
Cosa intende?
Ridurre il potere d’acquisto delle fasce reddituali più basse incide molto di più sul calo dei consumi rispetto al taglio sulle fasce alte.
In ogni caso, le pensioni sopra sei volte il minimo restano pressoché ferme. Eppure, parliamo di importi che al netto, ed entro una certa soglia, sono tutt’altro che elevati.
È vero. Ma bisogna anche dire che l’operazione, per i prossimi tre anni, produrrà un risparmio di 4 miliardi di euro; ciò è da ritenersi ancor più positivo se si considera che questi risparmi contribuiranno a consentire la tutela di altri 17mila esodati e ad allentare il cuneo fiscale.
Cosa ne pensa, invece, del contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro?
Si tratta, più che altro, di un intervento simbolico, dagli effetti economici pressoché irrilevanti. Le risorse recuperate ammonteranno al massimo a poche decine di milioni di euro. In tal senso, è stato varato un altro provvedimento, di portata probabilmente ancor più significativa, ma passato quasi sottotraccia.
Quale?
È stato introdotto un tetto di 300mila euro all’anno per il cumulo tra pensioni e stipendi pubblici, compresi i vitalizi degli eletti. La norma inciderà su diversi boiardi di Stato ma non solo. Basti pensare a quanti, in Italia, pur essendo in pensione continuano a detenere cariche di rilievo in svariati ambiti dove i giovani, invece, non riescono a entrare. Benché questa misura non risolva il problema dell’accesso dei giovani al mercato del lavoro, specie in ruoli di responsabilità, quantomeno segna un cambiamento nel modo di pensare. C’è da sperare, insomma, che questa schiera di quarantenni riesca finalmente a invertire la tendenza.
(Paolo Nessi)