Il mercato del lavoro rimane uno dei principali problemi del nostro Paese. Stando ai dati di un rapporto Uil si evince che le persone che hanno usufruito degli ammortizzatori sociali nel 2012 sono state oltre 3,9 milioni e la cifra è aumentata durante l’anno in corso: un incremento del 7,7% che equivale a un totale di 4,2 milioni. Da quando è scoppiata la crisi finanziaria nel 2008, un numero sempre crescente di persone ha perso il posto di lavoro e i disoccupati oggi si trovano ancora a dover fare i conti con una situazione precaria. «In questi anni la situazione è stata affrontata con una corsa al reperimento di risorse senza nessun tipo di programmazione nel lungo periodo», ci spiega Maurizio Del Conte, docente di Diritto del Lavoro alla Bocconi. Le politiche attive sembrano ancora lontane dalla reale applicazione prevista per legge e il Governo in carica non pare intenzionato ad affrontare il problema seriamente e nel modo più efficiente.
Quali sono le difficoltà principali che impediscono una riforma degli ammortizzatori che tengano conto di politiche attive?
Questo è un leit motiv che si ripete da anni, ma quello che si è fatto è poco. Dal punto di vista della normativa scritta sulla carta, gli ammortizzatori sociali prevedono il Patto di servizio: al disoccupato viene concesso il sussidio a patto che intraprenda dei percorsi di e formazione professionale. Se non viene seguita la strada della riqualificazione da parte del cittadino, teoricamente l’ammortizzatore deve decadere. Il fatto è che questo patto non è rispettato perché nessuno in Italia se la sente di revocare la cassa integrazione. Quello che manca è una cultura del rispetto della politica attiva e la struttura per mettere in pratica queste misure: ad esempio, mancano uffici per l’impiego che siano in grado di accompagnare la persona in ammortizzatore sociale verso il percorso formativo.
In questi ultimi anni abbiamo assistito a un aumento delle persone che hanno fatto richiesta per i sussidi. Ci sono risorse sufficienti per far fronte a un ulteriore incremento?
Un ammortizzatore sociale efficiente funziona quando riesce ad autofinanziarsi attraverso i contributi destinati al fondo per l’ammortizzatore, cioè quando è autosufficiente al bilancio complessivo dell’Inps. Ad esempio, la cassa integrazione ha funzionato fino a quando il contributo delle imprese, rientranti nell’ambito di applicazione della cassa, ha compensato le spese. Oggi le ore di cassa integrazione schizzano verso l’alto, siamo ancora alle prese con la cassa in deroga (una cassa che non ha una forma di finanziamento autonomo) e l’Aspi deve ancora entrare a pieno regime, è facile che i conti non tornino.
In che modo andrebbe affrontata la situazione?
Purtroppo è molto difficile calibrare un sistema valido per tutte le stagioni, bisogna rivedere questi strumenti in funzione del ciclo economico. In una situazione di crisi come quella attuale sono necessari stanziamenti che provengono da altre fonti per soddisfare i picchi di domanda. Oggi si fa fronte a questa situazione con la corsa al reperimento di risorse nella Legge di Stabilità senza nessun tipo di programmazione. Ogni anno si cercano risorse per gli ammortizzatori sociali, il che è abbastanza barocco.
Nel caso dovessero esserci dei tagli nel settore pubblico, si potrebbe utilizzare lo strumento della mobilità per far fronte al problema?
La mobilità esiste ancora una volta sulla carta, in qualche circostanza è anche stata utilizzata. Il vero problema nel pubblico è un altro, ovvero la sua gestione. Non è soltanto una questione di ridimensionamento, che andrà comunque affrontata secondo una programmazione perché non è possibile pensare di tagliare posti di lavoro senza un progetto valido. Quello che manca è una capacità organizzativa manageriale dei dirigenti pubblici che sia in linea con le buone pratiche di gestione del personale delle aziende private. Il dirigente pubblico, purtroppo, molto spesso non ha le competenze e le prerogative per fare funzionare la macchina amministrativa.
Secondo lei, avverrà una riforma degli ammortizzatori sociali?
Non mi sembra che sia in programma una riforma radicale, se si vuole procedere in questo senso si deve evitare l’errore commesso dal governo Monti. Non si dovrà intervenire d’urgenza, c’è bisogno di una programmazione di lungo periodo, immaginare quale deve essere il sistema più idoneo per il futuro e passare da un sistema basato sul passato lavorativo del disoccupato, a un sistema che tenga presente del profilo del cittadino. Una sorta di ammortizzatore basato sulla cittadinanza, e non sul curriculum, all’interno di un sistema equilibrato di finanziamento.
Cosa significa tenere conto del profilo del cittadino piuttosto che del passato lavorativo della persona?
Per esempio, il giovane disoccupato che non ha maturato i requisiti e gli anni di lavoro necessari, oggi non può accedere all’Aspi. Il mercato del lavoro è cambiato, il vecchio sistema è basato sui contratti a tempo indeterminato mentre oggi molti cittadini sono impegnati in lavori che non danno continuità. È necessario introdurre un sistema che assegna a ciascuno una quota disponibile di ammortizzatore sociale.
(Mattia Baglioni)