Un’altra piaga sociale. Forse. Dopo gli esodati, i mobilitati, i contributori volontari – senza contare le penalizzazioni previste dalla riforma in se stessa per chi andrà in pensione nei prossimi anni – , la disciplina pensionistica rischia di produrre altri danni imprevisti. Come segnala La Repubblica, in un articolo firmato da Carlo Picozza, decine di migliaia di donne potrebbero perdere la propria pensione di invalidità civile. Non solo. Potrebbero essere, addirittura, costrette a restituire quanto hanno sin qui percepito. A quanto spiega l’avvocato esperto di diritto del lavoro, Sante Assennato, intervistato da Picozza, «il limite di reddito per ottenere la pensione o l’assegno di invalidità è stato individuale, fissato rispettivamente a 16mila 500 e 4mila 650 euro all’anno a seconda della percentuale di perdita della capacità lavorativa». Ora, a causa di un orientamento equivoco dell’Inps – a quanto spiega l’avvocato – i medesimi livelli di reddito diventerebbero coniugali. Il che, concretamente, non sarebbe possibile. I coniugi, va da sé, questi «morirebbero di fame prima». Secondo Assennato, inoltre, siccome nel corso dell’avvicendarsi delle leggi di bilancio dello Stato, si sono previsti limiti reddituali, sia per la pensione che per l’assegno, personali, una deroga a tale prassi «rappresenterebbe la più grave controriforma in materia assistenziale con conseguenze devastanti soprattutto per la donna». L’avvocato, infatti, fa presente che pensione e assegno di invalidità «in un mercato del lavoro a forte prevalenza maschile sono volti alla tutela delle figure più deboli nel momento in cui, per motivi di salute, perdono la capacità di lavorare in maniera significativa: oltre il 74 per cento per l’assegno o del 100 per cento per la pensione». Tutto ciò, mentre in sede amministrativa viene negato dall’Istituto di previdenza sociale, in sede legale viene portato di fronte ai giudici della Corte di cassazione da parte di alcune avvocature del medesimo istituto. Mercoledì 13 febbraio prossimo, i giudici della sezione Lavoro della Corte, saranno chiamati a pronunciarsi sui livelli di reddito.



Nel frattempo, da parte dell’Inps e del ministero del Lavoro, pare che continui a provenire un silenzio assordante.

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