Anche la Francia si accinge a modificare la propria disciplina pensionistica. Ovviamente, in senso restrittivo e penalizzante. Al fondo, vi è l’idea in base a cui i lavoratori attivi siano già stati spremuti a sufficienza. L’ipotesi di Hollande, come riportava Le Monde, sarebbe quella, anzitutto, di ridurre l’indicizzazione dell’assegno previdenziale all’inflazione. Poi, si innalzerà l’età minima a 62 anni. Luigi Campiglio, professore di Politica economica presso l’Università cattolica di Milano, ci spiega perché, in Francia, esiste un patto sociale che, a differenza dall’Italia, sarà mantenuto.



Perché, secondo lei, la Francia intende riformare il sistema pensionistico?

Stanno venendo al pettine i nodi di un crollo demografico che è stato abbastanza comune in tutta l’area europea ma che, in particolare, ha coinvolto alcuni paesi più di altri. Da questo punto di vista, la Francia, da qui al 2030, benché si troverà anch’essa penalizzata da un tale calo, lo sarà meno di molti altri paesi. Sta di fatto che, in questa fase di transizione, dovrà introdurre forme di riequilibrio. Che, tuttavia, presumibilmente non comporteranno particolari drammi.



Perché no?

La Francia, attualmente, ha un sistema pensionistico più vantaggioso rispetto a quello degli altri paesi. Sia sul fronte dell’età pensionabile che su quello delle modalità di corresponsione dell’assegno previdenziale che, in parte, prevedono tuttora il sistema retributivo. Ovviamente, in una situazione di forte crisi come quella attuale, ritoccare le pensioni può comportare squilibri che, tuttavia, sono più facilmente assorbibili grazie alla posizione di partenza più favorevole. Tanto più che, Oltralpe, il regime fiscale vigente contempla la condizione del reddito familiare complessivo. Addirittura, si tiene conto del reddito di genitori e figli.  



Questo cosa comporta?

Partiamo da una considerazione: la possibilità per un giovane di poter ideare progetti di vita familiare dipende dalla stabilità del suo reddito (che, in ogni caso, in Francia è più alto che in Italia) e dalla sua capacità di risparmio. Due fattori che, spesso, vengono suppliti dal sostegno da parte dei genitori: tutto questo rappresenta una sorta di lotteria sociale. La situazione più equilibrata, infatti, sarebbe quella in cui i giovani guadagnassero il giusto senza dover essere costretti a far conto sull’aiuto di papà e mamma. Per il semplice fatto che, in molti casi, non sono in grado di darglielo. Si tratta di un sistema che rimanda le prospettive di vita delle famiglie al caso. Ebbene, il fatto che in Francia si tenga conto del reddito complessivo di genitori e figli, consente di essere ottimisti sulla realizzazione di una riforma delle pensioni.

Quindi,  che valutazioni dà, in generale, dell’ipotesi di revisione francese?

Penso che si possa parlare di una sorta di patto sociale volto a sistemare i conti con molta cautela, senza determinare sconquassamenti sociali. Prevedibilmente, sarà graduale, e ci saranno degli aggiustamenti in corso. La riforma  non sarà traumatica.  

 

In Italia, invece, lo è stata?

Decisamente. Abbiamo innalzato l’età pensionabile di moltissimo, mentre l’adeguamento al costo della vita era già stato bloccato ai tempi di Tremonti. Abbiamo di fronte un periodo di transizione che sarà in parte attutito dagli scambi interni tra genitori e figli. Quando, tuttavia, inizieranno ad arrivare le prime pensioni di coloro che, adesso, hanno intorno ai 25-30 anni, saranno dolori.

 

Perché?

Chi ha fatto la riforma, sapendo che comporterà pensioni decisamente più ridotte, si è convinto che i giovani sarebbero andati in massa dagli assicuratori privati, per aprirsi una posizione previdenziale integrativa. Ovviamente, lo hanno fatto in pochissimi. Il legislatore non ha tenuto conto del fatto che un’operazione del genere, per un giovane che, spesso, non guadagna più di mille euro al mese, non è sostenibile. Arriveremo al punto che le pensioni medie (e non quelle minime!) si aggireranno sui 500-600 euro al mese. In sostanza, la riforma è un monumento alla contraddizioni logiche di sistema. Una tra le tante. Ci stanno spiegando, per esempio, che il mondo lavorativo in cui viviamo deve andare incontro a una sempre maggiore flessibilità. Peccato che alle banche, di questa teoria, non importi nulla. E non concederanno mai un prestito a un giovane con un contratto a termine.

 

(Paolo Nessi)