In questo momento milioni di giovani senza esperienze significative rappresentano il nocciolo duro della disoccupazione in Italia. La loro ricerca di lavoro è costantemente segnata dal fallimento e ben presto il loro status passerà da forze lavoro in cerca di lavoro a “inattivi scoraggiati” o peggio in “NEET”, ovvero in soggetti che non studiano, non lavorano e che in Italia passano quasi tutto il tempo davanti alla TV.



Verso questi soggetti l’unico ammortizzatore sociale è la famiglia, che è sempre più in difficoltà nel mantenere questo ruolo attivo. Mentre modesto, se non inesistente, è il ruolo ricoperto dall’attore pubblico, dove cattiva gestione e soprattutto poche risorse hanno prodotto alcuni tra i più inefficienti Servizi pubblici per l’impiego in Europa.



Siamo onesti, Il prossimo Governo difficilmente sarà in grado di utilizzare risorse per migliorare questa specifica voce di spesa pubblica: sviluppo, esodati, debito pubblico, istruzione, reddito minimo, ecc. sono problemi prioritari per le prossime leggi di stabilità e pertanto scordiamoci eventuali risorse per le politiche attive del lavoro. Eppure qualcosa per migliorare il collocamento dei disoccupati senza incidere nella spesa pubblica è possibile farlo.

Innanzitutto i Centri per l’impiego sono ormai un surrogato di una macchina esclusivamente amministrativa, ovvero la sola registrazione dei disoccupati pregiudica tutte le altre attività di questi uffici. In questo caso, su scala nazionale, come in altri paesi europei o di altri comparti della spesa pubblica, si potrebbe attivare un “numero verde” che espleti tutte quelle pratiche amministrative, in modo da liberare risorse per svolgere servizi alle imprese volti al ricollocamento dei soggetti disoccupati.



Infatti, proprio i servizi alle imprese sono l’attività più importante da realizzare nei Centri per l’impiego, in quanto risulta banale che senza la creazione di una rete di contatti, frutto di una costante attività di marketing territoriale verso le aziende più attive nel mercato del lavoro, questi uffici rischiano di risultare solo un contenitore di curriculum inutilizzati. Accanto al numero verde e al potenziamento dei servizi alle imprese, per aiutare i giovani disoccupati è necessario dotare i Centri per l’impiego di eccellenti esperti nella progettazione, in grado di far accedere il più alto numero di persone ai fondi comunitari.

In particolare, questi soggetti devono conoscere bene i problemi legati alla formulazione delle domande, alla difficoltà del co-finanziamento o di trovare partner stranieri (là dove richiesti) e alla difficoltà di interagire con le istituzioni. Tutte queste competenze sono già presenti in tanti professionisti che lavorano da anni nel campo dell’assistenza sociale. Ai Centri per l’impiego basterebbe reclutarli e convertirli al settore lavoro.

Infine, a parte i fondi comunitari, le risorse vanno trovate nella razionalizzazione interna ai Servizi pubblici per l’impiego. In particolare, il numero verde ridurrebbe la necessità di avere personale amministrativo (scelta difficile da realizzare, ma necessaria). Altre risorse inoltre possono arrivare dalla riduzione degli incentivi alle imprese e dalla riorganizzazione di quello che, correttamente, Pietro Ichino chiama  formazione “vocazionale”, ovvero quei corsi di inglese o informatica di una o due settimane che non incidono minimamente sulle opportunità di lavoro dei disoccupati e che in questi anni sono stati un grande affare per gli stessi enti formativi.