I 19 operai dello stabilimento di Pomigliano iscritti alla Fiom e reintegrati dal giudice riceveranno regolarmente lo stipendio, ma non potranno mettere piede in azienda. Lo hanno scoperto quando si sono recati in fabbrica per la prima giornata di lavoro. Ilsussidiario.net ha intervistato Carlo Alberto Nicolini, avvocato e professore di Diritto all’Università di Macerata.
Ritiene che la Fiat abbia rispettato la sentenza del giudice?
Quando un tribunale ordina il reintegro, è ormai un dato pacifico in giurisprudenza che quando il contratto di lavoro è operativo, il dipendente ha non solo il diritto di percepire la retribuzione, ma anche quello di lavorare. Il lavoro costituisce una modalità di estrinsecazione della personalità e della professionalità del lavoratore, e quindi occorre tenere conto anche di un profilo di carattere non patrimoniale. Adeguarsi a una sentenza di reintegro non reintegrando effettivamente il lavoratore può essere una decisione discutibile.
All’azienda conviene davvero tenere questa linea di condotta?
Le valutazioni di opportunità sono diverse. Da un lato c’è il pregiudizio che può avere l’azienda nel non inserire i lavoratori “non graditi”, e dall’altra c’è il rischio di un’ulteriore vertenza da parte degli stessi lavoratori. Quando non faccio lavorare un dipendente, di fatto lo espongo a un demansionamento. Da questo punto di vista posso essere convenuto successivamente per risarcimento danni, a condizione però che la legittimità del reintegro disposto in primo grado sia confermata all’esito di una decisione definitiva. Un reintegro solo in senso economico quindi non basta. L’unico modo per eseguire la sentenza in modo ineccepibile, senza esporsi a ulteriori critiche, anche di carattere risarcitorio, è fare entrare i lavoratori in azienda. E’ chiaro infatti che per la persona del dipendente non è la stessa cosa lavorare o meno.
Che cosa ne pensa dell’atteggiamento tenuto da Fiat?
Bisogna accertarsi del fatto che il suo atteggiamento sia stato realmente discriminatorio. Quello che emerge è che Fiat non accetta l’indicazione del giudice, che ha affermato che il suo comportamento sarebbe stato discriminatorio, e quindi se riuscirà a vincere nei gradi successivi, avrà ragione su tutto e quindi anche sulla scelta di non reintegrare i 19 lavoratori. In questo momento però fa stato quello che dice il giudice, e quindi la sentenza va rispettata.
Ci sono davvero dei dubbi ragionevoli sul fatto che i 19 lavoratori siano stati esclusi per motivi non discriminatori?
Al di là della verità processuale, ciò che emerge piuttosto chiaramente è che non c’è un grande feeling tra Fiat e Fiom. In realtà però il problema è abbastanza complesso e va oltre il contenzioso sui 19 lavoratori. La difficoltà è tracciare il discrimine tra una dialettica anche dura di scontro nei rapporti sindacali e i comportamenti antisindacali o discriminatori nei confronti delle persone.
In un anno Fiom ha perso quasi 2mila iscritti. E’ la dimostrazione del fatto che lo scontro non paga?
La Fiom, pur costituendo un sindacato di grande tradizione e con elementi molto preparati, è ormai un po’ fuori dal tempo. La realtà è davvero cambiata e alcune battaglie non hanno più senso. Lo scontro non paga per nessuno, assumere sempre atteggiamenti di tipo massimalista non fa bene innanzitutto agli stessi lavoratori. Ogni tanto è necessario fare squadra con il datore di lavoro, ed è a questo livello il principale problema di mentalità della Cgil. Non sempre il datore di lavoro è il nemico, tenerne conto fa bene a tutti. Anche il diverso atteggiamento dei lavoratori Chrysler all’interno del Gruppo Fiat è un’indicazione abbastanza chiara.
Che cosa ci può insegnare il comportamento degli operai americani di Chrysler?
Il fatto che è bene che tutti comincino a capire che bisogna sedersi a un tavolo e trovare dei punti di incontro comuni. L’impresa deve andare bene, altrimenti fa male anche ai lavoratori. Restano fermi ovviamente dei limiti invalicabili di dignità della persona dei quali va tenuto conto. Da questo punto di vista quello delle organizzazioni sindacali rimane un compito essenziale. Gli interessi dell’azienda vanno bilanciati con quelli dei lavoratori, e la dignità della persona non ha prezzo.
(Pietro Vernizzi)